La Commedia

a cura di Rosamaria Caputi
consulenza musicale Luca Palli Branchi
con la partecipazione di Cristiano Burgio, Barbara Giuliani, Davide Biagini


 

Inferno – Pollo alla diavola

Se guardate bene alla fine il peperoncino lo ficcate lì, il resto è storia

Purgatorio -Timballo di crepes trevisane
Fate le crepes (la mia ricetta o la intuite o non ve la do. Ma il trucco è che l’impasto deve riposare almeno due ore –chi sarà gentile con me avrà le dosi-)
Radicchio di Treviso ( o chi non ama il contrasto amarognolo propenda per il chiozotto)
Fontina
Bechamel con zafferano, parmigiano

Paradiso -Pan di Spagna

4 uova
120 gr di zucchero
100 gr di farina 00

Separare i tuorli dagli albumi. Montare i tuorli e lo zucchero. Montare a parte gli albumi fino ad ottenere una schiuma soffice e tanto compatta da non uscire dal recipiente rovesciandolo.
Unire gli albumi al composto precedente (non rovesciando il recipiente, inutile) e incorporarlo mescolando delicatamente con movimenti dal basso verso l’alto. Una volta ottenuto un composto omogeneo aggiungere la farina setacciata, piano piano. Mescolare sempre piano, sennò si smonta tutto. Versare il composto (adesso si versa) in una teglia di centimetri 24 di diametro precedentemente imburrata e infarinata.
Infornare a 170° per 40 minuti, dopodichè verificare lo stato della cottura (non aprire il forno prima!!!) e lasciare raffreddare in forno con lo sportello appena appena aperto.

Crema pasticcera

2 tuorli
60 gr di zucchero
20 gr di farina
200 gr di latte
buccia di limone biologico non trattato

Montare tuorli e zucchero con lo sbattitore finchè diventa tutto omogeneo e non si sente più quella sensazione di zucchero mescolando (non so se si capisce). Aggiungere la farina piano piano, continuando a mescolare.
Tagliare una strisciolina il più sottile e lunga possibile di buccia di limone; dev’esserci meno bianco possibile, lunga una spanna e in un solo pezzo. Se si rompe prima di arrivare a una spanna prendete un altro limone e ricominciate. Mettete la buccia in un pentolino con il latte e accendete a fiamma bassa; quando il latte è vicino all’ebollizione (si vedono le bollicine premere sotto al velo superficiale di panna), versare il composto nel latte e spegnere il fuoco. Non smettere MAI di mescolare. MAI. La crema diventerà sempre più densa, quando è ora di smettere di mescolare sarà evidente. Quando la crema è raffreddata togliere la buccia di limone. É possibile leccarla completamente prima di buttarla, perlomeno. Io di solito la mangio.

Meringhe

2 albumi
120 gr di zucchero fine(*)
qualche goccia di succo di limone

(*): Dosaggio semplificato. Gli ossessivo-compulsivi vorranno pesare gli albumi. Liberissimi di farlo. Nel qual caso la quantità stechiometrica di zucchero è pari a una volta e mezzo il peso degli albumi.

Aggiungere qualche goccia di limone agli albumi, per togliere quel saporaccio di uovo. Questo dona anche lucentezza paradisiaca alle merighe. Montare gli albumi con lo sbattitore elettrico, partendo dalla velocità minima ed aumentando. Quando il volume sarà raddoppiato aggiungere metà dello zucchero (circa metà, lo dico per chi ha pesato gli albumi) e continuare a montare. Il composto comincia a diventare compatto e lucido? Aggiungere lo zucchero rimanente e continuare a montare fino a quando il tutto è compatto e fermissimo: estraendo le fruste devono rimanere le due puntine di schiuma belle appuntite e compatte che neanche scrollando si piegano.
Formare piccole noci di meringa su una teglia foderata di carta forno; si può fare con un cucchiaino oppure con una tasca per dolci (ossessivo-compulsivi).
Mettere in forno a 70°. Non di più, non di meno. No, no. 70° è giusto. Se il forno è ventilato meglio, sennò pazienza (gli ossessivo-compulsivi devono cambiare forno).
Lasciare in forno almeno due ore, anche tre. Se durante la cottura si appanna il vetro del forno tenerlo aperto poco poco per fare uscire l’umidità. Se le meringhe diventano scure: peccato, la temperatura era troppo alta, riprova sarai più fortunato.

Dal canto ventiseiesimo Inferno
Lo maggior corno de la fiamma antica
cominciò a crollarsi mormorando,
87pur come quella cui vento affatica;

indi la cima qua e là menando,
come fosse la lingua che parlasse,
90gittò voce di fuori e disse: “Quando

mi diparti’ da Circe, che sottrasse
me più d’un anno là presso a Gaeta,
93prima che sì Enëa la nomasse,

né dolcezza di figlio, né la pieta
del vecchio padre, né ’l debito amore
96lo qual dovea Penelopè far lieta,

vincer potero dentro a me l’ardore
ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto
99e de li vizi umani e del valore;

ma misi me per l’alto mare aperto
sol con un legno e con quella compagna
102picciola da la qual non fui diserto.

L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna,
fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi,
105e l’altre che quel mare intorno bagna.

Io e’ compagni eravam vecchi e tardi
quando venimmo a quella foce stretta
108dov’Ercule segnò li suoi riguardi

acciò che l’uom più oltre non si metta;
da la man destra mi lasciai Sibilia,
111da l’altra già m’avea lasciata Setta.

“O frati,” dissi, “che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
114a questa tanto picciola vigilia

d’i nostri sensi ch’è del rimanente
non vogliate negar l’esperïenza,
117di retro al sol, del mondo sanza gente.

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza120″.

Li miei compagni fec’io sì aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
123che a pena poscia li avrei ritenuti;

e volta nostra poppa nel mattino,
de’ remi facemmo ali al folle volo,
126sempre acquistando dal lato mancino.

Tutte le stelle già de l’altro polo
vedea la notte, e ’l nostro tanto basso,
che non surgëa fuor del marin suolo.

Dal canto sedicesimo del Purgatorio

Soleva Roma, che ‘l buon mondo feo,
due soli aver, che l’una e l’altra strada
108 facean vedere, e del mondo e di Deo.
L’un l’altro ha spento; ed è giunta la spada
col pasturale, e l’un con l’altro insieme
111 per viva forza mal convien che vada;
però che, giunti, l’un l’altro non teme:
se non mi credi, pon mente a la spiga,
114 ch’ogn’erba si conosce per lo seme.
In sul paese ch’Adice e Po riga,
solea valore e cortesia trovarsi,
117 prima che Federigo avesse briga;
or può sicuramente indi passarsi
per qualunque lasciasse, per vergogna
120 di ragionar coi buoni o d’appressarsi.
Ben v’èn tre vecchi ancora in cui rampogna
l’antica età la nova, e par lor tardo
123 che Dio a miglior vita li ripogna:
Currado da Palazzo e ‘l buon Gherardo
e Guido da Castel, che mei si noma
126 francescamente, il semplice Lombardo.
Dì oggimai che la Chiesa di Roma,
per confondere in sé due reggimenti,
129 cade nel fango, e sé brutta e la soma».
«O Marco mio», diss’io, «bene argomenti;
e or discerno perché dal retaggio
132 li figli di Levì furono essenti.
Ma qual Gherardo è quel che tu per saggio
di’ ch’è rimaso de la gente spenta,
135 in rimprovèro del secol selvaggio?»
«O tuo parlar m’inganna, o el mi tenta»,
rispuose a me; «ché, parlandomi tosco,
138 par che del buon Gherardo nulla senta.
Per altro sopranome io nol conosco,
s’io nol togliessi da sua figlia Gaia.
141 Dio sia con voi, ché più non vegno vosco.
Vedi l’albor che per lo fummo raia
già biancheggiare, e me convien partirmi
(l’angelo è ivi) prima ch’io li paia».
145 Così tornò, e più non volle udirmi.

Estratti dal canto trentaquattresimo del Paradiso 

Utenti on-line

Ci sono attualmente 4 Users Online