LA PIANIFICAZIONE è UN’ILLUSIONE

                                          

La cattiveria salverà il mondo.

O semplicemente, lo si sospetta, non lo salverà.

Vedendo questo straordinario Parasite, di Bong Joon-ho, i riferimenti che si avvertono in filigrana sono: lo stile di Lanthimos, che ritorna in quel gusto per l’insensatezza e la violenza delle azioni umane, e quello di Farhadi, nella frequenza con cui la scrittura riesce ad avvitarsi e ad escogitare cambi di prospettiva e colpi di scena con una facilità invidiabile.

Il film, vincitore di una strameritata Palma d’oro a Cannes nel 2019 e in uscita in Italia il 7 novembre, riesce a raccontare allo stesso tempo la crisi economica e quella culturale, la fragilità e la crudeltà, la miseria e l’ingenuità, senza edulcorare nessuno di questi aspetti e senza strizzare l’occhio allo spettatore (vedi finale), ma soprattutto riesce a maneggiare gli elementi con una padronanza da virtuosista della scrittura e della direzione.

A sorprendere è come lo spettatore riesca a specchiarsi su ognuna di queste superfici, come venga resa possibile la comprensione del fondo su cui l’essere umano si muove e da quali moti è spinto: arrivismo personale e realizzazione sociale su tutti, nel modo più crudele e spietato.

Eppure, sembra suggerirci il regista coreano (con uno stile che pur narrando tanto non esplicita mai le sue dichiarazioni, mettendo sul tavolo un ventaglio tale di stimoli che lasciano libertà di interpretazione) la fortuna e il caso sono così fragili e veloci da essere irrimediabilmente irricevibili: in una delle scene migliori il padre di famiglia (e la famiglia è forse il tema principale di tutto il film, curiosamente però vista come espressione di solidarietà massima fra le persone che ne fanno parte) esplicita senza filtri l’unica morale che Bong Joon-ho ha voluto rendere inequivocabile: progettare qualsiasi piano d’azione con la speranza di avere maggiore controllo sulle vicende della propria esistenza è perfettamente inutile.

DAW

Una famiglia (padre, madre, una giovane figlia e un giovane figlio) abita in un seminterrato senza che nessuno di loro abbia un lavoro, e vivendo di lavoretti saltuari (piegare pronti per l’uso dei cartoni per pizze d’asporto) e di espedienti (sfruttare il wi-fi dei negozi vicini; anche quello dell’impatto della tecnologia nelle attuali vite degli esseri umani è un altro tema affrontato dal regista), ed è proprio questa fame di occasioni giuste per finalmente svoltare e cambiare vita, che innesta le tessere da domino, ricche di soste e frontiere in cui il fato cambia improvvisamente vento e direzione, che scivoleranno via per poco più di due ore, fino al socchiuso finale.

Diretto con rimandi a differenti cifre stilistiche, ma riuscendo a creare una cifra tutta propria e originale (per esempio un umorismo poi neppure così sottile), e interpretato in modo impeccabile dagli otto (più uno) interpreti (tutti, di fatto attori principali), Parasite riesce a confermare la vitalità di un media come quello cinematografico, capace di rinnovarsi e trovare nuova linfa autoriale pescando a piene mani nelle miserie del genere umano.

Giuseppe Rizza