La visione 14. La battaglia di maggio

E’ il 29 maggio 1913 ed è in corso la più grande battaglia della storia della musica. Il programma comprende le Danze polovesiane di Borodin, Les Sylphides -un balletto su musiche di Chopin-, Le spectre de la rose di Weber e Le sacre du printemps di Stravinsky. L’incasso per i biglietti è di 38.000 franchi. La prova generale è filata liscia, c’erano anche Debussy e Ravel, ma dalla stampa erano trapelate notizie su un balletto nuovo, strano e brutale. Alle prime note acute del fagotto, in sala volano mormorii che diventano presto risate e battute. Non appena il sipario si alza sugli Auguri primaverili, ecco una parte del pubblico comincia a rumoreggiare. Per reazione un’altra parte del pubblico grida insulti a quelli che rumoreggiano. In poco tempo si è creata una specie di rissa fra gli accademici fedeli alla tradizione e gli avanguardisti amanti delle novità. Stravinsky si infuria, non riuscendo a capire come sia possibile far tanto fracasso per un’opera che è appena incominciata. In seguito, avrebbe dichiarato che la coreografia di Nijinskij era stata la causa principale del disastro di quella sera, perché poteva venirgli una realizzazione plastica semplice e naturale, e invece gli era venuto “un penosissimo sforzo senza risultato”. Ma adesso, qui in sala, c’è Ravel che grida “Genio!” e altri che gridano allo scandalo. Gabriele D’Annunzio da un palco si scaglia contro i tradizionalisti, subito appoggiato dal compositore Alfredo Casella. Nijinskij grida dei numeri. Ecco come Stravinsky ricorda la serata: “Lasciai il mio posto non appena iniziarono i rumori pesanti e andai nel retroscena dove mi misi alle spalle di Nijinskij che, seduto su una sedia dietro le quinte di destra, appena invisibile al pubblico, gridava dei numeri ai danzatori. I poveri ballerini non sentivano niente a causa del tumulto della sala e del loro calpestio. Io ero costretto a tenere per il vestito Nijinskij, fuori de sé dalla rabbia, e in procinto di balzare in scena, da un momento all’altro, per fare uno scandalo. Djaghilev, per far cessare il fracasso, dava ordine agli elettricisti, ora di accendere, ora di spegnere la luce nella sala”. Chi rimane impassibile è il direttore d’orchestra, Pierre Monteux. “L’immagine del dorso di Monteux è oggi più vivida nella mia mente di quella dello stesso palcoscenico. Egli si ergeva manifestamente impervio e snervato come un coccodrillo. Mi pare ancora quasi incredibile che abbia potuto effettivamente trascinare l’orchestra sino alla fine.” Il baccano dura fino a metà della seconda parte. Poi si calma. La Danza sacrificale dell’Eletta si svolge in un clima accettabile. Alla fine danzatori e direttore d’orchestra vengono chiamati più volte sul palco.
Stravinsky è avvilito. Con Djaghilev e Nižinskij va al ristorante. Sono tutti e tre “eccitati, adirati, disgustati e…felici”. Djaghilev dice una cosa sola: “E’ esattamente quello che volevo”. Il grande scandalo è stato la migliore pubblicità. Questo racconta Stravinsky. Jean Cocteau invece racconta di essersi unito alla cena, di essere andato in taxi con i tre al Bois de Boulogne, e che lì Djaghilev è scoppiato a piangere e si è messo a recitare versi di Puškin . Francamente, credo più a Stravinsky.
Djaghilev ha perfettamente ragione a vedere in cioò che è successo una meravigliosa fonte di pubblicità. In pochissimo tempo,le repliche della Sagra della primavera e le rappresentazioni in forma di concerto trionfano. Stravinsky è sempre più convinto che sia stata tutta colpa di Nijinskij.