La visione 5. “Fino alla fine, mio caro”

 

Stravinsky si mette dunque a comporre, creando un curioso contrasto tra la crudezza della musica che gli vien fuori e l’ameno paesaggio svizzero in cui la compone. Il tema che apre La sagra della primavera, il terrificante tema del fagotto nel registro acuto, lo riprende da una raccolta di canti popolari che aveva visto da un robivecchi in Polonia. È l’unico tema popolare che riprende pari pari. Un canto popolare lituano, dirà. In realtà era l’inno nazionale.

Compone al pianoforte. Per tutta la vita Stravinsky compone al pianoforte. “Ho bisogno di sentire le vibrazioni”, dice. Compone con la finestra aperta, e un bambino passando gli grida: “È sbagliato, è sbagliato!” Il compositore si affaccia: “È sbagliato per te, ma non per me” gli dice.

Compone quasi di getto, seguendo una felice ispirazione che, anni più tardi, gli farà dire “I did not compose Le sacre du printemps: I was the vessel, through which Le sacre passed” – non ho composto La sagra della primavera, sono stato il mezzo attraverso cui La sagra è passata.

Un giorno fa sentire quello che ha composto a Djaghilev. Djaghilev ascolta una serie di accordi ribattuti e domanda: “Va avanti così ancora per molto?” Stravinsky è offeso: “Fino alla fine, mio caro”. E Djaghilev tace perché capisce che la risposta è seria.

a cura di Giorgio Galli