Approfondimenti
La visione 8. Il problema Nijinskij
Stravinsky sapeva di non doversi preoccupare con Roerich. Con Nijinskij, però, era tutta un’altra storia. Le ragioni dei contrasti tra i due sono complesse, e hanno a che fare con una certa insofferenza del conservatore cattolico Stravinsky verso l’omosessualità del ballerino e in generale verso la libertà sessuale che si respirava nei Balletti russi. Il compositore ricordava che una volta un pianista accompagnatore guardava intensamente uno dei ballerini e che, interrogato sul perché, rispose senza esitare: “Non vedo l’ora di darmi a lui!” Naturalmente, il conservatore cattolico Stravinsky ne fu scandalizzato. Nel ricordare la figura di Nijinskij, in una lunga intervista con Robert Craft, il compositore ricordava anche che Nijinskij “era un bell’uomo, anche se di una bellezza non maschile”. Di fatto, dei contrasti fra i due noi possediamo soltanto la versione di Stravinsky, poiché il ballerino, quando Stravinsky rese la testimonianza, era già impazzito da tempo.
Ci furono poi le ragioni artistiche dei loro contrasti. Stravinskij ammirava Nijinskij come danzatore, ma lo sapeva del tutto a digiuno di musica. Tentò lui stesso di insegnargli alcune nozioni, ma il ballerino si mostrò reticente ad acquisirle, e per di più si mostrava arrogante e irritabile, forte come si sentiva dell’appoggio di Djaghilev. Stravinsky immaginava la danza della Sagra come uno spettacolo in cui “dei corpi ammassati, scossi, proiettati in balia dei ritmi, avrebbero costruito uno spettacolo completo di per se stessi, libero da ogni appoggio letterario”. Ma Stravinsky era anche un grande razionale, e non voleva che la sua opera sembrasse un’orgia di danza e di suono. Voleva che se ne percepisse anche la ferrea organizzazione. Nijinskij era istintivo e drammatico e non aveva a cuore l’organizzazione logica dei suoni. Stravinsky sentiva che il carattere del suo lavoro non veniva rispettato, e che non veniva rispettato perché un ballerino presuntuoso si rifiutava di imparare un po’ di musica. Nella sua coreografia Nijinskij diede molto peso all’elemento ritmico, anzi si mostrò ossessionato dal ritmo di Stravinsky. I suoi ballerini erano come percorsi dalla corrente elettrica. Braccia rovesciate, piedi girati all’interno, espressioni di terror panico, inopinati zompi dovevano rendere il contenuto drammatico dell’opera con un’urgenza emotiva sconosciuta allo spirito chiaro di Stravinsky. I movimenti dei ballerini erano spigolosi e meccanici. Oggi una produzione così non ci farebbe più effetto, ma al pubblico del 1913 essa doveva apparire sgraziata e ridicola. E tutto questo era sganciato da ogni logica musicale.
Ma chi era veramente Nijinskij? Un’idea completa della sua personalità è difficile farsela, e purtroppo anche della sua arte, dato che non rimangono filmati. Come di un altro mito delle origini della danza moderna, Isadora Duncan, di lui rimangono solo alcune foto.
Poco prima di impazzire del tutto, nel 1919, Nijinskij riempì tre quaderni, quelli che oggi conosciamo come “i diari”. In essi il ballerino parla pochissimo di danza e molto di amore universale. Scrivendo i suoi quaderni egli palesa il desiderio che siano pubblicati per insegnare agli esseri umani ad amarsi l’un l’altro. Parla del suo amore per gli animali e del vegetarianesimo. Dialoga con un’entità che chiama “Dio”, ma che in realtà è un proprio alter ego, o addirittura una sua personalità scissa. Fa menzione di alcune incomprensioni con la moglie, dell’infelicità della moglie e del fatto che lei e il suo medico lo vorrebbero internare. Sa che gli altri lo vedono come un malato mentale. Parla della sua sessualità e del fatto che da giovane praticava intensamente la masturbazione. Non parla della sua relazione con Diaghilev, ma in quei tre quaderni non c’è nulla di aneddotico, non c’è quasi nessun riferimento alla concretezza della vita. E’ tutto ideale e idealizzato. Un uomo così non poteva piacere al razionale e concreto Stravinsky.
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