La visione 9. Ispirazione

“I did not create Le sacre du printemps. I was the vessel, through which Le sacre passed”. Grande razionale, Stravinsky diede tuttavia in queste due frasi una descrizione semplicissima dell’ispirazione: non ho composto io La sagra della primavera, sono stato il mezzo attraverso cui La sagra è passata. Affascinante. L’affermazione più famosa di Stravinsky però non è questa. L’affermazione più famosa è: “Giudico la musica, a cagione della sua essenza, impotente ad esprimere alcunché”. Per Stravinsky, il valore di un’opera non è nella sua “espressività”, ma nella bellezza oggettiva della sua forma: la quale non è che “mettere ordine nel caos, e in particolare fra Uomo e il Tempo”. Questo lo dice lo Stravinsky del 1929: un musicista per cui la musica è essenzialmente tecnica e gioco, un formalista. E’ in contraddizione, questa sua posizione, con l’ispirazione da cui è stato toccato? No, perché il suo ideale è una musica sovrapersonale, antipsicologica. Una musica che passi oltre le limitazioni dell'”io”. Una musica che si compone da sola, esattamente come La sagra della primavera.

Pensiamoci bene: i compositori romantici sembrano dirci “se non ti piaccio, è perché sei disumano”. Cercano di prendere possesso di noi bombardando la nostra psiche, di imporsi con l’arma dei sentimenti. Esercitano un dominio. La musica di Stravinsky, la musica antipsicologica, non cade con violenza su di noi, non si impone, ma ci chiede di essere accolta in se stessa. E’ come la differenza fra un romanzo tradizionale e Rayuela di Cortazar: nel primo caso abbiamo un bombardamento che ci coinvolge a tutti i livelli, nel secondo siamo chiamati a partecipare al rito, a comporre anche noi il nostro romanzo. E’ come la differenza -la sparo grossa, ma è per capirci- tra un dittatore che ci investe del suo carisma e un leader democratico che ragiona insieme a noi. La musica di Stravnsky non è più fredda, è più democratica, più fraterna, più rispettosa di chi ascolta. Non è fredda perché è ispirata, ed è Stravinsky stesso a fornirne testimonianza. Soprattutto, è una musica da cui promana gioia. Un’allegria che è insolita in un compositore classico, e che quando appare nella “grande arte” pare quasi sospetta. Nella nostra tradizione, sembra che l’allegria debba giustificarsi. Stravinsky non lo fa. Ci presenta il rito barbarico nella sua crudezza, ma sotto sotto ci fa sentire la sua gioia di comporre, il suo approccio energetico alla musica, privo di ombre filosofiche. Stravinsky non ha una poetica, e lo dimostra negli anni successivi cambiando stile di continuo. A lui interessa superare ostacoli nuovi, sperimentare, affrontare la musica da un punto di vista puramente compositivo -cioè pratico.

E’ un atteggiamento poco russo. La musica russa è vissuta per secoli sotto traccia. La bellezza era condannata dall’ortodossia, era considerata un orpello, un peccato. La musica russa è vissuta col rimorso di essere musica. C’è un grande dolore nella musica dei russi. Ma c’è anche una forza primordiale, dovuta al fatto che quella musica, lì, si è conservata per secoli nella sua primevale bellezza, nella sua nudità energica. Stravinsky raccoglie l’energia della musica russa senza raccoglierne il dolore. E’ il più russo e insieme il meno russo dei compositori.