Recensioni
L’emivita di una scrittura
È il 1978. In Italia si pubblicavano libri come: Il ponte nel deserto. Titolo (e non solo) vagamente buzzatiano.
Adesso abbiamo due opzioni: sostenere O tempora o mores un giorno qui era tutto best-seller, oppure constatare che almeno c’è qualcuno che si occupa di recuperare, nel 2023, un’autrice come Brianna Carafa.
Ma il commento è d’uopo, direbbe l’accademico d’altri tempi: Nessuno scrive più così. E s’intende un complimento. Lo si sostiene con rammarico, con una pungente nostalgia per qualcosa che non si è vissuto. Come un amore solo immaginato (Pensa, ragazzo, un tempo pubblicavano certi libri…).
Quanto dura l’emivita di un autore, una volta morto? Indubitabile che esistano libri e autori che acquistano maggior successo e notorietà una volta morti, alcuni più fortunati l’ottengono pochi anni prima dell’epitaffio, altri cadono nel dimenticatoio per decenni, sommersi dalla mole infaticabile di pubblicazioni ogni anno sempre più numerose.
Questa volta dobbiamo ringraziare chi – la casa editrice Cliquot – da qualche anno è impegnata negli scavi della dimenticata pompei della storia della letteratura italiana per riportare alla luce un romanzo uscito nelle librerie italiane a pochi giorni dalla scomparsa della sua autrice.
Con un’introduzione appassionata di Ilaria Gaspari, che tratteggia dell’autrice Brianna Carafa il percorso di scrittrice purtroppo col tempo ormai poco conosciuta, il lettore potrà godere in primis di un piacere non proprio prioritario fra le recenti penne italiche: quello proveniente da ciò che per non complicarci troppo la vita potremmo chiamare lo stile.
Sarebbe infatti da far leggere e analizzare ad un corso di scrittura creativa un libro così.
Un libro Il ponte nel deserto che se avesse una nazionalità sarebbe argentino, per quelle svagate e mutanti atmosfere da romanzo sudamericano (anche se non propriamente Sud America, parte della storia si svolge in Messico), ma in un gioco di rimandi sarebbero diversi i richiami della scrittura della Carafa, qui solo al suo secondo – e purtroppo ultimo – romanzo.
Se del Buzzati c’è quel senso di sospensione tipico di una tragedia che avverti imminente e inevitabile, fra le pagine si riscontra il Camus de Lo straniero nella remissività del protagonista, e la cristallina inattitudine all’esistenza dei personaggi di Svevo.
Il protagonista è Bobi Berla, svagato ingegnere che sceglie di farsi vivere, e che si ritrova ad un certo punto della sua ancora giovane vita a essere ammaliato da un progetto di costruzione di un ponte nel deserto del Messico.
Il resto, e di resto ce n’è molto pur essendo un romanzo di poco più di 150 pagine, lo lasciamo a chi avrà il piacere di scoprire come si costruivano una volta, appena quarantacinque anni fa (un’era geologica) storie e scritture che purtroppo ci appaiono più lontane di un reel di pochi secondi girato a Città del Messico.
(di Giuseppe Rizza)
Utenti on-line
Ci sono attualmente 6 Users Online