MADRE NATURA È SPETTINATA

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All’inizio si è trattato di un’imposizione: il mondo che all’improvviso si scopre vulnerabile, la pandemia di Covid-19 che imperversa, la scelta di adottare il confinamento come misura di controllo al dilagare dei contagi, le attività che si fermano, una dopo l’altra, il tempo della quarantena scandito nel microcosmo domestico, socialità zero o quasi. I cambiamenti nella quotidianità di ognuna e ognuno di noi sono stati tanti e tali che le nostre esistenze sono state rivoltate come un calzino e nella maggioranza dei casi sono andate incontro a un periodo di sospensione, simile al sonno fiabesco (non privo di incubi) di Biancaneve o della Bella addormentata, uno stallo più o meno angusto in cui ci siamo crogiolati in modalità differenti.

Il nostro corpo è cambiato: fuori controllo, per imposizione appunto, non abbiamo più potuto modificarlo come d’abitudine, perché altre sono diventate le priorità, e perché tra i servizi al pubblico che hanno abbassato la saracinesca quasi subito figuravano proprio quelli deputati alla cura del nostro aspetto fisico. Centri estetici e saloni di acconciature chiusi a doppia mandata fino a data da destinarsi, meme che iniziano a circolare sui social per sottolineare l’inevitabile metamorfosi da donne a icone simil scimmiesche, con tanto di baffi, ricrescita bicolore in testa e peli ovunque, fughe intercettate dalle autorità di signore in crisi d’astinenza dirette al domicilio dell’estetista di fiducia, e via via un discorso sempre più preoccupato non solo degli effetti sull’avvenenza delle clienti, ma anche e soprattutto della crisi che rischia(va) di lasciare definitivamente chiusi migliaia di negozi.

Nei mesi in cui ci siamo ritrovate a gestire il nostro corpo ormai liberato dall’onere di apparire in un certo codificato modo, giungevano intanto notizie di un risveglio galvanizzato della natura, che sembrava tanto più respirare a pieni polmoni, quanto più a noi mancava invece l’aria nei nostri cantucci asfittici, un’esplosione rigogliosa di vegetazione, inquinamento ridimensionato come mai prima d’ora, fauna selvatica che circolava indisturbata e ripopolava quei luoghi da cui era stata malamente bandita, una primavera con cieli dai colori smaltati e fioriture memorabili.

Nelle prime settimane non sapevo bene che cosa farci con questo corpo irriverente che volgeva all’anarchia. Non so voi, ma ho iniziato a osservarne la mutazione con un misto di ansia e curiosità. La routine che accompagnava le mie giornate lavorative prima del confinamento prevedeva una quantità incredibile di energia e di tempo (me ne sono accorta solo quando sono venuti a mancare) investiti in quella che viene definita “cura di sé”: sedute di ore dalla parrucchiera per mascherare i capelli bianchi, incontri ravvicinati del terzo tipo con l’estetista (depilazione, unghie, ecc.), ogni giorno trucco prima di uscire di casa, creme e prodotti vari per deodorare, modellare, idratare, scolpire, profumare ogni centimetro di pelle, indossare abiti e scarpe per lo più scomodi, come la biancheria intima, tipo i reggiseni, che una volta conservati nel cassetto è dura riesumare (avevano ragione le nostre madri a bruciarli in piazza). Di colpo è partita la fiera delle tute di una misura più grande, zero sostanze chimiche su cute e capelli, il corpo che finalmente si espande libero, una piacevole sensazione di ritrovato confort, quasi infantile. Mi è parso proprio che le immagini di una natura rinata andassero di pari passo con questa trasformazione fisica (e interiore).

Così ho iniziato a fare caso a molti messaggi pubblicitari in cui compare la parola “cura” oppure la parola “coccola/e” in riferimento a una serie di pratiche estetiche che non hanno proprio nulla a che vedere con il vero benessere, ma anzi, sono piuttosto blande forme di tortura, fastidiose e sfiancanti manipolazioni, in certi casi poco salutari, della nostra esuberanza corporea, un continuo limitarne e controllarne e indirizzarne altrove la naturale propensione a essere autenticamente ciò che è. Materia in continua evoluzione, in movimento ciclico, in espansione e in vitale disordine (apparente), regolata da meccaniche invisibili. Terra brulicante, che lasciata in pace è pronta a rigenerarsi da sé.

Nel frattempo esplodeva la polemica rispetto alla campagna denigratoria che ha visto coinvolta la nota giornalista Giovanna Botteri, corrispondente dalla Cina, rea di non mostrarsi al pubblico durante i collegamenti (da una delle zone più colpite dal Covid-19, tra il fuso orario e i ritmi lavorativi convulsi) nel migliore dei modi, “in ordine”, ovvero “curando” il proprio aspetto fisico, trucco parrucco e abiti alla moda, perché per stare in tv, non importa a quale fine, bisogna esserne all’altezza e assoggettarsi ai modelli di riferimento che indicano chiaramente come deve apparire il corpo femminile, per passare al vaglio dello sguardo di uomini, certo, ma anche di tante donne che hanno introiettato e riproducono senza alcuno spirito critico il diktat della bellezza, o meglio, di una precisa bellezza. Preconfezionata. Artificiale. A misura di approvazione altrui. “Ordinata”, cioè imposta dal di fuori, perfettamente congeniale a un sistema produttivo che ci vuole consumatrici e consumatori, prima che persone, pronti a soddisfare bisogni inculcati a suon di spot e campagne pubblicitarie, sempre più simili alle fotografie con mirabolanti filtri che usiamo per rappresentarci senza sbavature.

Dicevo, all’inizio si è trattato di un’imposizione: poi ci ho preso gusto, e ho cominciato a godermi gli effetti di questo abbandono, le redini dell’ipercontrollo sciolte e un sentire nuovo rispetto alla mia immagine, meno ricercata, non più irreggimentata in una gradevolezza da manuale, fittizia, comprata a caro prezzo e spacciata per “cura”, che tale non è mai stata sul serio. Siamo sincere con noi stesse: se nessuno ci avesse insegnato che senza peli fa più sexy, che i capelli vanno acconciati e colorati, che certi abiti stanno meglio di altri, eccetera eccetera, non ci saremmo mai sognate di definire “coccole” operazioni che implicano invece fatica, noia e pure un moderato dolore (chi pensa che stia esagerando, è invitata/o a farsi fare una ceretta all’inguine. Poi ne riparliamo). 

Il confinamento ha determinato una cesura irreversibile, per quanto mi riguarda, un “dopo” che si accompagna a uno sguardo nuovo sulla realtà e sui corpi che la abitano, in primis il mio. Mi è rimasta impressa la pienezza di quel cielo terso, la prepotente fioritura colorata a festa e di riflesso quella sensazione di pace, di tregua con quello che sono, con l’essenza indefinibile, centrale, che il corpo custodisce e incarna al contempo. Ho pensato a una sorta di figurina con due facce, da una parte Madre Natura spettinata e rigogliosa, di una bellezza dalle multiformi declinazioni, dall’altra il profilo di una donna qualsiasi, libera di essere come più le pare e piace, come più davvero la fa stare bene, fuori dalla logica fallace e consumistica del “tu vali”, del “prenditi cura di te” (armata di carta di credito e senso di inadeguatezza), al riparo dallo sguardo severo e mortificante di chicchessia.

Margherita M.