Mattia Moretta, Tra di noi l’oceano. Modernità di Emily Brontë ed Emily Dickinson


Tra di noi l’oceano: un titolo su cui vale la pena spendere una riflessione, perché “Tra di noi” è diverso da “tra noi”: è meno disgiuntivo, indica la presenza di qualcosa in comune. Eppure l’oceano divide. Questa distanza e questa comunanza fanno da filo conduttore al libro.

Emily Jane Brontë, inglese di Haworth, nata nel 1818 e morta nel 1848, ed Emily Elizabeth Dickinson, americana di Amherst, Massachussetts, 1830-1886, furono divise dall’oceano e vissero in periodi diversi, ma ebbero in comune la dedizione assoluta alla letteratura e la scarsa considerazione del mondo. Difficile dire chi delle due sperimentò la solitudine più dura: circondata dalle sorelle, ma priva di amici Emily Jane; confinata in una stanza, ma al centro di una vivace corrispondenza con molti cari amici Emily Elizabeth. Più selvatica e ribelle Emily Jane, di carattere spigoloso e dall’immaginazione intrisa di brughiera; meglio costumata Emily Elizabeth, il cui mondo è meno aspro, con una natura più antropizzata. Entrambe dotate di una lingua esatta e dura, per nulla condiscendente verso le aspettative che si avevano allora da una scrittrice donna (ma esiste davvero, poi, questa scrittura femminile?). Entrambe -e soprattutto Emily Elizabeth- per nulla fortunate dal punto di vista editoriale, per nulla benedette dal successo in vita. Entrambe -e soprattutto, di nuovo, Emily Elizabeth- personalità enigmatiche al centro di uno scandaglio psicopatologico postumo: la scarsa affettività del padre come problema di Emily Jane, l’epilessia o l’autismo come probabili problemi di Emily Elizabeth. Emily Jane scrisse soprattutto in prosa; Emily Elizabeth soprattutto in poesia. Condivisero sia la grandezza che l’etica della rinuncia. Non legarsi a persone o cose, non desiderare per restare identificate con l’assoluto originario fu l’ossessione di entrambe. Sparire come esseri umani, trasformarsi in avatar, essere un Omero di cui non si sa nulla, presentarsi al mondo con la loro nuda opera sembrò essere di entrambe il desiderio. Forse non si può nemmeno dire presentarsi al mondo, giacché Emily Jane acconsentì semplicemente alla volontà della sorella di pubblicare le sue opere, dopo un’iniziale ritrosia; ed Emily Elizabeth praticò la sua arte quasi senza testimoni, in un esercizio tanto ascetico quanto inutile, prima di venir pubblicata postuma da membri della sua famiglia sorpresi dalla ricchezza di materiale letterario racchiuso in una cassa al centro della sua stanza.

Selvaggio fu lo stile di Emily Jane, per nulla apprezzato dai critici del tempo. Emily Elizabeth fu così poco interessata agli aspetti esteriori dello scrivere da disseminare i suoi manoscritti di diversi errori di ortografia e da scrivere su materiale di fortuna, pezzetti di carta ricavati da vecchi documenti e buste da lettera riciclate all’occorrenza. Ma tanta eccentricità non deve obliterare la cosa che conta, che è il valore altissimo dell’opera di entrambe, che trascende l’epoca in cui vissero e si proietta in pieno Novecento, per arrivare a parlare a noi col piglio dei contemporanei. Furono scrittrici outsider, scrittrici di frontiera, che mai vissero da scrittrici, che mai ebbero un editore, un agente o nulla di ciò che ci si aspetta da una scrittrice.

Da outsider si pone anche Mattia Moretta, autore di questo bellissimo Tra di noi l’oceano, pubblicato da un editore outsider (il Gruppo Editoriale Viator). I capitoli hanno titoli fantasiosi e provocatori: Che l’amore è la parte per il tutto; Sisters: parlando da donna a donna; Ragazze con le pistole, figlie di papà. Ma anche nel lavoro di Moretta, come nell’opera di Emily&Emily, non bisogna fermarsi alle eccentricità e bisogna andare alla polpa sostanziosa, al nocciolo urticante della questione. Si scoprirà allora un saggio ben fatto, ben documentato, con riferimenti a “casi” d’altri poeti condotti con libertà e acume. Un saggio che non ci farà più leggere Emily&Emily nello stesso modo e che accresce la vitalità del lettore come solo i libri appassionati, ben scritti, non effimeri sanno fare.

 Giorgio Galli