Approfondimenti
MEGLIO PETALOSA CHE ARCHITETTA: NUOVA LINGUISTICA DA SOCIAL NETWORK E VECCHIE REMORE
A chiunque legga quotidiani online, oppure frequenti Facebook o Twitter, non sarà di certo sfuggita la tenerosa notizia (e soprattutto quel che ne è seguito) del piccolo Matteo e della sua intraprendente maestra, che hanno scritto all’Accademia della Crusca per proporre la valutazione di un nuovo lemma, l’aggettivo petaloso, neologismo coniato dal bambino in un compito in classe e segnato dalla penna rossa della sua insegnante con un’annotazione a lato: è un errore, ma bello. Da qui la decisione di rivolgersi alla prestigiosa istituzione, che non ha tardato a rispondere, suscitando la sorpresa di maestra, scolaro e scuola intera e pure quella di chi non aveva mai sentito nominare la Crusca se non sottovoce quando confidava a qualcuno di soffrire di stitichezza, e all’improvviso ne ha fatto indigestione, trovandola citata ovunque. Sì perché l’Accademia, in risposta alla letterina di Matteo, ha sentenziato che la nuova parola è ben formata, bella e chiara, ma per entrare a far parte del dizionario occorre che tante persone la capiscano e la usino, cioè è necessario che si diffonda nel linguaggio comune. E da qui in poi è stato l’inizio del tormentone petaloso e della serie di metamorfosi a cui è andata incontro la tribù dei social network: di colpo tutte e tutti solidali con il bimbo creativo, a vai di condivisioni virali del nuovo lemma (con storia annessa e riferimenti alla Crusca) preceduto dal santo hashtag, nel tentativo di supportarne la diffusione, ma soprattutto tutte e tutti posseduti dal sacro fuoco della linguistica, e vai allora di lunghe disquisizioni pro o contro petalose, un delirio insomma, a cui non si sono sottratte nemmeno le alte cariche dello Stato, a cominciare dall’omonimo dello scolaro, di cognome Renzi, che ha cinguettato una serie di ringraziamenti stile bella-storia-oh-una-nuova-parola, evviva. Io ho avuto modo di leggere un’infinità di articoli e articoletti, interventi su blog e siti, status, sfoghi cinguettanti, relativi commenti, e tutta la restante gamma di testi che si possono pescare in rete, in cui di volta in volta si faceva a gara per sfoggio di arguzia, cinismo, intelligenza, ironia, simpatia o antipatia, sofismi, perplessità, intolleranza, acrimonia, capacità di analisi, affabulazione, che boh, mi sono stancata e non mi è più venuto un solo pensiero petaloso per un bel po’.
Non vorrei aggiungermi, e pure in ritardo, al coro stonato di chi si è espresso sulla questione, ma una considerazione la vorrei fare pure io che, chiamandomi Margherita, di petali e altri orpelli verbosi mi interesso. Ora, la mia domanda è questa: come mai un bambino sputa fuori una parolina graziosa e il popolo dei social si mobilita per usarla, o perlomeno ci riflette su, male o bene che sia, con tale entusiasmo, mostrandosi invece indifferente, o sarcastico o del tutto ostile quando si tratta di applicare le regole grammaticali esistenti per un uso della lingua che definisca il mondo nella sua interezza, senza esclusioni o nascondimenti di nessun genere? Molte delle persone petaloso-amanti, ad esempio, non direbbero e non scriverebbero neanche sotto tortura i sostantivi architetta, ministra, sindaca, e similari, riferendosi a una donna che svolge una certa professione (a volte riferendosi anche a sé stesse!), perché suona male, perché è una cretinata polemica veterofemminista, perché non esiste, perché non c’è motivo di farlo, perché così sembra meno autorevole, perché tanto il maschile è un genere neutro (sì, ho sentito dire anche questa amenità!) perciò va bene che includa il femminile al suo interno, come nel plurale, no? ci sono dieci donne e un uomo ed è corretto dire “buongiorno signori”, vero? Sono passati ormai trent’anni da quanto la linguista e insegnante Alma Sabatini ha redatto le “Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana”, e anche l’Accademia della Crusca si è espressa in merito, collaborando tra l’altro alla realizzazione della guida “Donne, grammatica e media. Suggerimenti per l’uso dell’italiano”, curata da Cecilia Robustelli, altra linguista, e qui mi fermo, anche se l’elenco di pubblicazioni, corsi universitari, congressi, articoli sulla questione è assai più nutrito. Ma in barba a tutto ciò, niente da fare. Se sei petaloso va bene, e guarda, puoi pure essere petalosa, tanto si tratta di una qualità secondaria e accessoria, si tratta di una parola graziosa che male non fa; quando invece si parla sul serio, quando si definiscono certe cose che hanno peso e importanza, allora il popolo dei social network (e non solo), che di linguistica si interessa a fasi alterne, non si mette mica a diffondere parole strampalate come architetta, ministra, sindaca, via, non scherziamo, sei un architetto e basta, un avvocato e basta, un medico e basta. Suonerebbe male, in questo caso, definire con esattezza quello che sei, peraltro senza scomodare nemmeno la fantasia, ma applicando le semplici regole grammaticali in vigore. Meglio impegnarsi a diffondere parole nuove, che provare a utilizzare in modo corretto quelle che già ci sono, anzi, ci sarebbero se non le si ignorasse con sdegno. Meglio petalosa che architetta, sì, certo, #maperfavore #smettiamola #proviamoarinsavire.
Margherita M.
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