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MICHAIL BULGAKOV. L’ETERNO BAMBINO CON IL BASTONE: RI – LETTURA ANALITICA DE “IL MAESTRO E MARGHERITA”.
L’arte metaforica dell’artista Michail Bulgakov, intrisa di profezie e salti nel vuoto di una società iper moderna persa nel servilismo ai piedi del potente, dipinge quadri grotteschi, se non addirittura surreali, che denotano quale e quanta debba essere la disposizione individuale per porsi come voce narrante di un popolo eternamente sottomesso, dinanzi al potere soverchiante di una nomenclatura che teme, non il palesamento delle proprie idee, bensì la rincorsa al silenzio. Pur volendo destrutturare l’intero sistema elitario, assumente forma dai dignitari di corte, che vogliono instillare nel Comandante Supremo il culto del sospetto, quando costui, in realtà, nutrendosi del culto personale, frutto del narcisismo edulcorato che avvince ogni dittatore – è bene specificare che l’etimologia proveniente dalle lingue classiche, nel sostantivo Dictator indica la capacità di controllare masse informi di militari, preferibilmente mercenari, che si adoperino per la conquista progressiva di nuovi territori – nella rincorsa al proprio sostentamento ideologico.
Un prologo così strutturato si richiede poiché la lettura analitica dell’Opera del grande scrittore ucraino, profeta di una patria ove la dissoluzione di un impero millenario decretato dalla Storia (la Russia degli Zar), è valsa la messa in discussione di valori fondanti l’essere umano, che soltanto l’Arte può rivendicare come forza motrice del cambiamento.
Tutta la vita di Michail Bulgakov si è svolta tra importanti conquiste individuali – come la sua disponibilità verso gli uomini durante il periodo della Grande Guerra, espletando la sua arte medica, tanto che la capacità di questi di provvedere all’altro si mostra anche nella sua opera letteraria – e/o sociali che caratterizzano i movimenti rivoluzionari. In realtà, la principale opera – da chi scrive ritenuta la più degna di descrivere il grande traduttore dell’animo umano “Il Maestro e Margherita”, in gestazione per circa un ventennio della vita del drammaturgo ucraino – si pone agli occhi del lettore del XXI secolo come biglietto da visita descrivente una realtà sociale somigliante al regime sovietico di Stalin. L’occhio attento dello scrittore si dirige, osservando con meticolosità, sulle dinamiche coercitive, vertenti quasi nella totalità nella censura delle idee potenzialmente deflagranti, che il regime adopera per dirigere l’opinione pubblica all’ideologia dominante: il marxismo, mistificato.
L’immagine iniziale dei giardini pubblici della Mosca degli anni rivoluzionari descrive adeguatamente come la calma piatta apparente sia un vorticoso turbinio di idee e propositi volti al raggiungimento di un grado di libertà non concesso, se non nella pura filosofia. Ad una lettura attenta non sfugge il rimando al ruolo che il Regime svolge: totale assenza di dogmi che si pongano come religioni diverse dal credo comunista. La libertà non è libertà ma servilismo del potere. Nella scena in cui il Woland si inserisce nella discussione dei due letterati che attendono la riunione che decida la sorte del lavoro di uno dei due, costui è metafora della sete di conoscenza racchiusa nel genio artistico bulgakoviano. Non si può disquisire su ciò che esiste e ciò che non esiste: Woland, come più critici hanno mostrato, potrebbe essere soltanto l’immagine di Satana. Il Male, nella dimensione analitica, ha il suo aspetto positivo laddove si lascia condurre alla conoscenza. Non sedurre: la seduzione. Bulgakov non ha mai detto chi fosse Woland: costui è presente nella dissertazione intorno all’esistenza storica di Gesù, che diventa confronto aperto sulla esistenza o non esistenza di Dio (letto in termini metaforici Dio, o più semplicemente la divinità esiste finché è l’uomo a decidere che debba esistere, per cui Stalin, il Tiranno esiste se sono gli stessi attori del popolo a volere che questi sussista); è presente al processo in cui si decide il destino di Yeoshua in cui Pilato si lascia trasportare dal Timor Dei, e non dal supposto libero arbitrio; Woland dibatte con coerenza con i due letterati, anche quando descrive il ruolo che i controllori svolgono, ovvero riferire quanto accade, fino a lasciar intuire che ogni comportamento, in luoghi ove non esiste libertà, è già deciso. Majakovskij per decisione suprema doveva morire e ogni elemento doveva corroborare l’ipotesi del suicidio: Bulgakov descrive la decapitazione di Berlioz come metafora della morte dell’Amico amato. Accade quanto Woland dice perché Woland si immedesima nei meccanismi di una folle macchina “burocratica”. Ciò che è burocratico in realtà è palesamento di una struttura piramidale che non lascia spazio a contraddizioni all’interno di essa. Si è detto che nessuno, tranne lo stesso autore, può dire chi sia Woland; in realtà l’individuo che incontra nel manicomio è il solo che certifica l’Ombra del popolo russo: Stalin stesso. Il Professore Stravinskij null’altro è che il “docente” che conferma al “malato” che effettivamente quanto egli va predicando, ovvero la vista del diavolo, è totalmente aderente alla verità. Una lettura siffatta lascia intravedere la potenza inscritta nella creatività ironica insita nella capacità stessa di rendere atto ciò che non è visibile a tutti. Se riannodassimo quanto accaduto nel romanzo, con quanto si è verificato nella vita del grande intellettuale russo, l’episodio che la biografa di Bulgakov Marietta Cudakova riporta nella sua opera monumentale (“Michail Bulgakov. Cronache di una vita”, pubblicata in Italia da Odoya, Bologna 2013) che racconta dell’”evento”, ovvero che è intercorsa una telefonata tra Bulgakov e Stalin, sembra che lo spettro del Diavolo fosse in realtà soltanto il palesamento del pensiero del poeta, che mai è stato posto in pericolo di vita dallo Stalin. Questo avvenimento è stato riferito dalla terza moglie del poeta. Naturaliter, quanto descritto metaforicamente dallo scrittore ucraino non ha riscontri nei suoi scritti privati, e conseguentemente il divagare creativo di chi scrive una rilettura analitica dell’opera intravede nel Bulgakov anche tratti appartenenti tanto al citato autore, quanto alla propria dimensione creativa. Ogni scrittore che voglia cimentarsi con la propria quotidianità, deve essere mosso da impeto proveniente dall’alveo stesso dell’esistenza, ovvero la sfera individuale che, distaccandosi avvicina. Apparentemente paradosso, quanto appena enunciato si presta precipuamente alle parole dettate dalla vita di Michail. Costui non ebbe affatto paura di porsi come Alter – Ego di una cultura timorosa di affermare la propria volontà di emancipazione. Una rivolta tesa all’affermazione del singolo attraverso l’esaltazione del Popolo, non ha permesso agli intellettuali di emergere nella piena autonomia che dovrebbe essere espressa dagli intellettuali. Nella dinamica intrapsichica dell’artista, perché Michail è un artista, ciò che appare assurdo è la impossibilità di avere un dialogo franco relativo alle decisioni che vengono prese nella associazione degli scrittori. Woland – Bulgakov risalta per forte spirito ironico e capacità interpretativa del proprio Ego frammentato: possedere la chiave di volta per accedere al profondo è garanzia di imparzialità, in primis verso sé stesso. Vedere ciò che gli altri hanno timore di accettare è valenza stessa insita nel potere trasformativo della parola, diretta emanazione del Prinicipium Individuationis junghiano che determina il dialogo quale fonte attraverso cui evadere dalla propria gabbia ideologica, rappresentata dalla società di cartapesta del regime sovietico. Da buon ucraino, Bulgakov sa di non poter osare fino al punto di non ritorno poiché il promontorio della paura si manifesterebbe con tutta la sua potenza destrutturante. L’omicidio/suicidio dell’amico poeta, si risolve attraverso una schietta disamina di una società temente la propria Ombra. Quanto accade oggi nella diatriba Russia/Ucraina si definisce fin dai primi vagiti di un insieme di repubbliche ove, a causa delle diverse radici culturali, i conflitti si pongono come giustificazione della libertà. Quanto dichiarato attraverso la forza, la deformazione dei messaggi intellettuali si delinea come motu perpetuo di una percezione d’oppressione che, inevitabilmente, vuole la distruzione dell’altro diverso da sé, perché in realtà si vuole distruggere l’inadeguatezza di un progetto delirante. Ogni aspetto dell’esistenza di Michail è riconducibile al grande spirito ironico che pone in una dimensione collettiva sia l’uomo che lo scrittore. Essere in connessione col profondo è percezione dell’annullamento delle dimensioni lineari presenti nella realtà conosciuta, cosa l’uomo non comprende di sé? L’indefinito, le terre inesplorate sono il territorio prediletto del genio ironico, che noncurante della pervasività che detiene, osa andare là ove nessuno si è mai spinto. È doveroso comunicare che Bulgakov ha intessuto un fitto scambio epistolare con Stalin. Evidentemente l’aspetto paranoico dell’autore – altro tratto distintivo di ogni genio “folle” o “istrionico” che sia – è lo specchio della paranoia di Stalin: se affermando di essere accerchiato perché non si vede spiraglio di pubblicazione di una sola opera degna della poiesis di cotanto genio, affermo il mio potere trasfigurante, la mia rabbia a Colui che decide di ostacolarmi, che non riesce a corrompermi, il Paranoico della Madre Patria Russia, tacitamente vede anche quindici volte un’opera teatrale di Bulgakov. Quanto permesso alla Storia – da chi scrive – viene ritenuto diretto intento di chi non ha legittimato in vita il genio letterario. Eppure chi sapeva che vi era una atomica stesura di libere associazioni metaforiche, non ha fatto altro che dare in pasto all’Occidente quanto fosse necessario nel 1967 per scardinare un ordine ideologico che si sarebbe disciolto dopo circa un ventennio per mano di uomini che ben hanno inteso il messaggio innovativo di Bulgakov. Ogni movimento tellurico, ogni smottamento d’idee sono genesi diretta della sofferenza dell’animo umano, che lasciando fluire le emozioni, delinea ciò di cui un Uomo, non un servo, ha bisogno. Si ritiene meravigliosa una citazione ripresa dalle lettere di Bulgakov a Stalin: nessun accordo, nessun ammiccamento con l’ideologia bolscevica. Perché’ snaturarsi – quando si scrive e si vive di ideali – equivale a porsi al pubblico ludibrio, poiché incapace di assumersi la responsabilità. Una parte celeberrima del libro è il momento in cui Bulgakov richiede la presa di responsabilità. Si vive in un regime corrotto, si vive in luoghi ove la nomenclatura ha in mano le sorti del presente e del futuro senza amare il cittadino. Alzando il telefono, assumendosi la responsabilità di gridare il degrado etico morale di chi invoca e decanta libertà, si rischia di fare la fine di chi ha messo in versi il proprio essere intellettuale dissidente.
Qual è il dovere dello scrittore? Il dovere consiste nel difendere sé stesso per difendere il popolo che non ha voce. La vita di stenti, di sofferenza accompagnate da immancabile ironia hanno permesso a Bulgakov di divenire oggetto di confronto nel passato – dove essendo invisibile ha creato molto più ad esempio di chi ha vinto un Nobel – e nel presente.
All’alba della Russia dei Soviet, Bulgakov ha descritto quanto sarebbe accaduto tanto nella politica (vedi lo strano rapporto Stalin – Kruscev – Berija), quanto disgregazione di una nomenclatura che avrebbe incontrato chi (Nikita Kruscev) avrebbe seminato terrore con il suo fare da contadino ucraino (non esiste “caso” quando certe voci si innalzano in un momento in cui tutto sembra tornare indietro nel tempo): Kruscev si serve di chi controllava (tesi), nel passato prossimo, lo scrittore che, sapendo di essere controllato da spie si divertiva a disseminare falsità su sé medesimo, ben sapendo che tanto la Storia lo avrebbe elevato al rango dei grandi.
Bulgakov è l’eterno bambino; bulgakov è l’eterno giocherellone che non tingendosi i capelli di rosso ha confermato quanto l’onestà intellettuale decreta. Non si riceve il plauso di chi viene denunciato negli scritti, nel contempo non si viene posti in condizione di nuocere e nemmeno nella condizione di essere uccisi. Altri intellettuali sono finiti nei Gulag o si sono contraddetti sempre (si pensi a Pasternak e la paura di essere ucciso o internato per i suoi comportamenti, in linea con il suo romanzo da Nobel) che sono stati costretti ad espatriare altrimenti non sarebbero durati (ciò accade grazie a Kruscev).
Bulgakov è il Trickster, è il Briccone divino:
Bulgakov è Hermes che con il caduceo indica lo zenit da seguire: la Storia.
Il potere dell’immagine è la forma formante l’affresco di una realtà grottesca, talvolta paradossale. Il sogno è ciò che denota il fatto da cui dipartire per affermare il raggiungimento della meta: il rispetto della propria essenza sussistente.
Bulgakov è Woland; Stravinskij è Stalin.
Elogio della trasformazione allegorico – metaforica.
(Alfredo Vernacotola)
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