Preparare la parola con cura

a cura di Silvia Longo

(una lettura di Valerio Magrelli)

Preferisco venire dal silenzio
per parlare. Preparare la parola
con cura, perché arrivi alla sua sponda
scivolando sommessa come una barca,
mentre la scia del pensiero
ne disegna la curva.
La scrittura è una morte serena:
il mondo diventato luminoso si allarga
e brucia per sempre un suo angolo.

La poesia di Valerio Magrelli è simile a uno scafo snello, che non conosce incaglio di roccia né groviglio di alghe nel suo procedere e scandagliare. E, sebbene egli stesso paragoni la scrittura al vetro zigrinato delle docce, dove il corpo si sgretola e solo la sua ombra traspare, e dubiti della possibilità di poter dire la parola che scoccata dal cuore traversi le dodici scuri forate fino a forare il cuore del pretendente, non trapela dai suoi versi alcuna incertezza di intenzione:

“Questo quaderno è il mio scudo,
trincea, periscopio, feritoia.
Guardo da una stanza buia nella luce;
non visto vedo, vergognosa scienza della spia.”

“Questa carta è per me prima del sonno
l’incarnazione del corpo
nel velo del pane.
Comunione e consunzione
dell’ultima parola.”

La scrittura è dunque intesa come strumento di difesa e luogo di combattimento, come esorcismo al dolore di un’esistenza consapevole di sé, come apparecchio ottico a discernere scientificamente la trasformazione tra il dentro e il fuori, tra il buio e la luce, come ricerca di un linguaggio specifico. Se per dire si deve comprendere il senso, compenetrare l’essenza e il significato del vivere e del trascorrere, altrettanto fondamentale è lavorare poi sul linguaggio: tradurre cioè il pensiero e gli accadimenti in parole, dare loro un nome. Tale operazione, necessaria nel suo fungere da strumento catartico (quando non da rito salvifico, eucaristia spogliata da credo religiosi) rappresenta il momento della nudità, della resa del sé a se stesso. È un entrare in contatto con la radice delle cose, degli elementi naturali, delle stagioni, del ritmo del tempo, dei propri simili. È un cercare moventi e possibili giustificazioni al mistero del dolore e della morte, fino alla morte serena di chi ha compreso e tuttavia persiste fino all’ultima parola:

Questa maieutica del segno
indicando le cose con il loro dolore
insegna a riconoscerle
.”

Nel concedersi una sorta di animismo infantile (che va a fare da contrappunto ai modi disincantati dell’adulto), spesso Magrelli dedica versi commossi e riconoscenti agli strumenti del poeta: il quaderno, la carta, la penna, la matita

Essere matita è segreta ambizione.
Bruciare sulla carta lentamente
e nelle carte restare
in altra nuova forma suscitato.
Diventare così da carne segno,
da strumento ossatura
esile del pensiero
.”

fino a una immedesimazione dello scrittore nello strumento stesso:

La penna non dovrebbe mai lasciare
la mano di chi scrive.
Ormai ne è un osso, un dito.

Sto rifacendo la punta al pensiero.

Cercare l’essenza, distillare. Mettere a fuoco, concentrare in precisione di significato, ma senza che il verso risulti asettico, freddo, troppo “tecnico”. Questo il miracolo della poesia di Magrelli, che riesce nel suo intento di nitore senza comunicare distacco tra forma e sostanza, tra autore e lettore. La senti vibrare di malinconia

L’adolescenza fa cenno da lontano
regno del pomeriggio
tristezza precolombiana

spesso di dolore

Questo mi prova almeno
che qui dentro
vivo in un bagno di acidi,
di sostanze corrosive e lente
da cui mi sento avviluppato

di disincanto

Soltanto il tempo veramente scrive
usando come penna il nostro corpo.
Per le strade, in un cinema o in un letto
questa calligrafia va persa
ed è atroce l’incuria
degli dei e degli uomini

di percezioni sensoriali

L’emicrania si approssima, rullano
i tamburi, dalla parte di sotto,
dall’emisfero notturno

di stupore, nonostante tutto

Quella donna ha un potere magico:
sa fare a meno di me.
(…) Affascinato la seguo, per scoprire
nel suo nascosto affetto un affetto
che superi il mio.

di spirito di osservazione acuto, che va oltre le forme del primo sguardo

A volte dal disegno floreale
di una tovaglia
sorge un’Europa animata

di attenzione, a tratti anatomica, per la natura delle cose

Da chirurgo,
da anatomopatologo
va divisa la lingua,
va operata, aperta,
sezionata lungo linee mediane

di ricerca continua, affinché causa ed effetto, contenuto e forma coincidano:

Io non conosco
quello di cui scrivo,
ne scrivo anzi
proprio perché lo ignoro.
È un atto delicato,
è il limitare
che confonde la preda e il cacciatore.
Qui arrivano a coincidere
l’oggetto che cerco e la causa
di questo ricercare.
Per me la ragione
della scrittura
è sempre la scrittura
della ragione
.”