Promesse infrante, un po’ di vecchie cose – David Kirby

Promesse Infrante

Ne ho incontrate nei vicoli bui, zoppicanti e con un braccio solo;
le ho viste giocare a carte sotto una lampadina
e ho cercato di unirmi a loro, ma mi hanno respinto sgarbatamente
sapendo che le avrei solo lasciate vincere. 
Ne ho viste nei foyer dei teatri,
rientrare tardi dall’intervallo

molto dopo che gli altri avevano ripreso il loro posto,
e nei centri commerciali deserti a tarda notte,
facendo capolino a cose che non potranno mia comperare
e le ho trovate a girovagare
in un bosco in cui io stesso ho vagabondato. 

Questa mattina ne ho catturata una;
piccola e stupida, troppo lenta per scappare,
era solo una promessa che avevo fatto a me stesso
e poi dimenticata, ma mi urlava contro e mi prendeva a calci
e correva per raggiungere le altre, che mi guardavano con rimprovero
nei loro volti lunghi e tristi.
Quando mi sono avvicinato, sono fuggite,
anche se poi quella notte avrebbero dormito nel mio cortile. 
Le odio per la loro ingratitudine,
io che ho mantenuto innumerevoli promesse
ormai già morte e sepolte.
“Bastarde!”, grido,
“dovete amarmi — Sono io che vi ho dato la vita!”

Broken Promises

I have met them in dark alleys, limping and one-armed;
I have seen them playing cards under a single light-bulb
and tried to join in, but they refused me rudely,
knowing I would only let them win.
I have seen them in the foyers of theaters,
coming back late from the interval

long after the others have taken their seats,
and in deserted shopping malls late at night,
peering at things they can never buy,
and I have found them wandering
in a wood where I too have wandered.

This morning I caught one;
small and stupid, too slow to get away,
it was only a promise I had made to myself once
and then forgot, but it screamed and kicked at me
and ran to join the others, who looked at me with reproach
in their long, sad faces.
When I drew near them, they scurried away,
even though they will sleep in my yard tonight.
I hate them for their ingratitude,
I who have kept countless promises,
as dead now as Shakespeare’s children.
“You bastards,” I scream,
“you have to love me—I gave you life!”

From Big-Leg Music (Washington, DC: Orchises Press, 1995). Copyright © 1995 by David Kirby

Un po’ di vecchie cose

Rilke disse che voleva una stanza “con un po’ di vecchie cose
e una finestra affacciata su magnifici alberi”, il che mi fa
pensare ai miei locali e al loro arredo,
una scelta obbligata essendo questa camera da letto luminosa,
giornali e tazze di caffè sul pavimento, lenzuola
sparpagliate ovunque profumate dall’odore di sesso, forse,
o forse no. E se no, ok;

hanno avuto odore di sesso prima e l’avranno ancora.
Beh, probabilmente. Come ha detto Fats Waller “non si
sa mai, no?” Poi c’è la cucina con la pizza
nel forno, forse, o un risotto
che gorgoglia mentre tagli l’insalata e fai suonare un Big Jack Johnson
con un paio di sottili altoparlanti.
Poi, sala da pranzo e Chopin, mentre mangi

la jambalaya o la cassoulet o qualsiasi cosa avessi
cucinato, e quindi soggiorno, un fuoco
scoppiettante mentre sorseggi eau de vie e giochi con un sigaro
e ascolti la Sinfonia numero tre di Penderecki
quella che scrisse per i caduti in guerra, le parole cantate
dalla soprano Dawn Upshaw, la cui voce entra
nella musica così gradualmente che non ti rendi conto

che qualcuno sta cantando fino a quando piange di gioia
o di terrore, non sei sicuro cosa. Ora sei
tra l’immagine e l’idea, dove Keats
passò le sue ore più liete, scheggiando avanti
indietro con in mano qualche vecchio libro,
e ricordi di altri libri,  le cose che hai fatto
quando eri un bambino o persino la settimana scorsa e le cose

che altre persone ti hanno detto di avere fatto, tua madre
e tuo padre, le amanti che potresti avere
trattato meglio e quelle che avrebbero potuto essere più gentili con te,
gli amici con cui hai rotto e persino
quelli che non riesci a ricordare,
figure storiche—cretini come Thomas Taylor il platonista
che inventò una lampada perpetua alimentata

a petrolio, sale e fosforo che esplose durante
la dimostrazione alla Taverna
della Massoneria nel 1785, il che, notò mestamente, sollevò
un pregiudizio contro il marchingegno “che successivamente non sarebbe
mai potuto essere rimosso”e figure allegre come
Don Juan d’Austria, che poco prima della battaglia
di Lepanto venne preso da “un impeto di esuberanza

oltre il pensiero razionale” e danzò una gagliarda
sul ponte della nave di comando
al suono dei flauti. E tutto nel mentre in cui stai pensando
a domani e alle cose che devi fare
e quelle che vuoi fare e ti chiedi
se sarebbe meglio avere una lista per essere sicuri di non
dimenticarsi nulla o se sarebbe meglio alzarsi

e cominciare a lavorare e fare le cose che
non ti aspetti le cose che non
appaiono su alcuna lista e nemmeno nella tua testa mentre
sonnecchiavi, svegliandoti, sonnecchiando ancora, l’idea
che entra dentro di te come un pianto nella notte—un minuto
sei al tavolo all’osteria con i tuoi amici, a quanto pare,
e quello dopo sei per strada dicendo, E ora?

A Few Old Things

Rilke said he wanted a room “with a few old things
and a window opening onto great trees,” which makes
me think of my favorite rooms and their furnishings,
an obvious choice being this brightly-lit bedroom,
newspapers and coffee cups on the floor, bedclothes
scattered everywhere, perfumed with the smell
of sex, maybe, or maybe not. And if not, okay;

they’ve smelled of sex before and will again.
Well, probably. As Fats Waller said, “One never
knows, do one?” Then there’s the kitchen with
a pizza in a blazing oven, perhaps, or a risotto
bubbling while you chop salad and blast Big Jack
Johnson on a pair of tinny speakers. Then it’s off
to the dining room and Chopin while you eat

your jambalaya or cassoulet or whatever it was
you cooked, and now the living room, a fire
toppling as you sip eau de vie and toy with a cigar
and listen to Penderecki’s Symphony no. 3,
the one he wrote for the war dead, the words sung
by soprano Dawn Upshaw, whose voice enters
the music so gradually that you don’t realize

someone is singing until she all but cries out in joy
or terror, you’re not sure which. Now you’re
in the space between image and idea where Keats
spent his happiest hours, skating back and forth
between some old book in your hand
and your memories of other books, of things you did
when you were a kid or even last week and things

other people told you they did, of your mother
and father, lovers you might have
treated better and ones who might have been nicer to you,
friends you broke with even though
you can’t remember a single one,
historical figures—silly ones, like Thomas Taylor
the Platonist, who invented a “perpetual lamp” fueled

by oil, salt, and phosphorus that exploded during
his demonstration of it at the Freemasons’
Tavern in 1785 which, he noted ruefully, raised
a prejudice against the device “which could never
afterwards be removed,” and merry ones, like
Don Juan of Austria who, just before the battle
of Lepanto, was seized by “a fit of exuberance

beyond rational thought” and danced a galliard
on the gun-platform of the command vessel
to the music of fifes. And all the while you’re thinking
of tomorrow and of the things you have to do
and the ones you want to do, and you wonder
if it’d be better to have a list to make sure you don’t
forget anything or if it’d be better just to get up

and start working and in that way do the thing you
weren’t expecting to do, the one that doesn’t
appear on any list or even in your mind as you
were dozing, waking, dozing again, the idea
that enters you like a cry in the night—one minute
you’re at a table in a tavern with your friends, it seems,
and the next, you’re in the street, saying, Now what?

David Kirby (1944) è un poeta americano e professore di inglese presso la Florida State University (FSU). La sua raccolta The House on Boulevard St. (Louisiana State University Press), è stata nominata per il National Book Award 2007 in poesia.
Kirby ha pubblicato oltre 20 libri, tra cui raccolte di poesie e critiche letterarie, e le sue poesie compaiono spesso in The Southern Review.