Recensioni
Punacci
Non sapevo nulla della cultura tamil.
Tantomeno nulla avevo letto della cosiddetta letteratura tamil.
Ma di certo leggere questo Punacci, storia di una capra nera, edito dalla sempre meritoria e di recente costituzione Utopia edizioni, è stata un’esperienza che consiglierei a chiunque, sia ai lettori abituali, sia a chi legge solo saltuariamente, sia a chi non legge, sia perfino al mio miglior nemico.
Mi prendo infatti tutta la responsabilità del caso sostenendo che si tratta di un romanzo che difficilmente può lasciare indifferenti, e che può soddisfare il lettore in modo trasversale: il lettore forte può godere dell’aver aggiunto un ulteriore tassello a quello della sua personale collezione leggendo un autore inedito in Italia e una letteratura poco indagata come appunto quella tamil; il lettore saltuario, da libro acquistato in aeroporto, non può non essere soddisfatto dall’apparente facilità e linearità della storia, e anche il non lettore non avrà difficoltà ad approcciarsi al romanzo dato che non incontrerà sperimentalismi sintattici o uno stile ostico, anzi, la lingua ha una leggibilità che sembra essere al totale servizio dell’esperienza sensoriale, del lasciarsi andare e incantare dalla pura storia e dallo svolgersi della trama, ma perfino il peggior nemico può apprezzare Punacci, perché se il cuore non si scioglie neppure con questo romanzo allora ogni speranza è perduta per sempre.
Già la copertina della pregevole edizione indirizza quello che attende il lettore.
La protagonista assoluta della vicenda narrata è infatti Punacci, una capra dal manto nero data in regalo a un anziano da un ignoto viandante dopo solo poche ore di vita.
L’opacità dell’occhio della fotografia presente in copertina è un’ulteriore simbologia perfetta, quasi una lacrima trattenuta.
Confesso che non mi accadeva da tempo di essere investito da un libro che ho iniziato e finito lo stesso giorno e che cattura l’attenzione fin da subito senza alcun effetto speciale.
Anzi, dovrebbe forse far riflettere come Punacci riesca a ottenere un suo risultato di coerenza stilistica grazie a un uso sapiente del sentimento, quella parola che ci fa vergognare e che comunque viene adoperata senza farne un uso pornografico, tutta in sottrazione.
È, a pensarci, una beffa clamorosa nei confronti di tutte quelle pubblicazioni degli ultimi decenni che provano a ottenere sensazionalismo spingendo su un’apparente forza stilistica o su sbandierate novità di natura linguistica. Qui non esiste nulla di tutto questo.
È forse il merito maggiore di Murugan, autore che fra l’altro è stato contestato da gruppi religiosi e politici del suo Paese tanto da portarlo alla decisione di voleresmettere di scrivere altro (anche se pare che tale decisione sia stata in seguito rigettata dall’autore).
Seguiamo la storia di una capra dal manto nero senza che ciò comporti una forzatura e senza che la scrittura dell’autore cerchi di appagare quella del lettore e le sue aspettative.
Eppure è davvero difficile riuscire a non entrare empaticamente nella vicenda di una capra che ci conforta sia con la sua tenerezza sia con la durezza del mondo che la circonda, e che purtroppo è solo di nostra invenzione.
Punacci è una parabola, una favola assortita che potremmo definire una metafora se solo si decidesse di fare un torto a un libro che invece merita solo tutta la nostra sensibilità e tutto l’affetto di cui siamo capaci.
Punacci pensò che tutto l’amore che i due le avevano mostrato si riducesse, in fin dei conti, alla lunghezza di quella corda.
Giuseppe Rizza
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