Oltre ai boomer c’è di più

È stato appena pubblicato da Add editore con la traduzione di Alessandro Storti, Goblin girl, graphic novel d’esordio della disegnatrice svedese Moa Romanova, e che possiamo subito inserire nel sottile – a tratti sottilissimo – faldone delle opere che potrebbero avvicinare alla lettura tutta quella ampia, sterminata prateria di post adolescenti e ventenni e trentenni che credono che l’oggetto libro sia un reperto archeologico maneggiato da qualche boomer nel millennio scorso.

Goblin girl racconta – con disegni che lo stesso boomer di cui sopra definirebbe “bruttini” e che invece riescono a inserirsi con credibilità come corpo vivido e pulsante della storia – le forme del disagio psichico come rappresentazione icastica della contemporaneità.

La protagonista tenta infatti di galleggiare in una realtà – quella scandinava, che però appare appena accennata e quindi facilmente trasferibile in qualsiasi realtà dell’occidente europeo – fitta di ostacoli che diventano fonti sempre floride e fertili di ansie che le procurano attacchi di panico e una depressione costantemente pronta a sgorgare in crisi di pianto.

Goblin girl riesce pertanto ad inserirsi con uno stile allo stesso tempo diretto e sofisticato nell’attualità di una narrazione che necessita di storie che raccontino le forme del disagio psichico e una mancanza di certezze e stabilità emotive ed economiche che una fetta dell’essere adulto ancora fatica ad interpretare.

È quest’ultima una classe sociale che è ben rappresentata dalla Romanova nell’adulto conosciuto tramite Tinder e che essendo famoso nell’ambiente culturale si offre di diventare il mecenate della nostra eroina per sostenerne e finanziarne il talento artistico, (mal) celando un interesse di altra natura.

Circondata da personaggi apparentemente di contorno ma tratteggiati con cura (le amiche, la madre, il “cicerone”), la Romanova riesce con la sua protagonista a infondere a una trama apparentemente trita (la giovane depressa che tenta di riempire il presente surfando fra droghe e sesso) una sua cifra stilistica che si serve ottimamente dell’originalità del tratto del disegno e del colore per dare voce a chi in genere ne riceve poca. Un ritratto pertanto da dentro il cuore pulsante del malessere di generazioni che spesso si sono viste narrate in modo parziale e giudicante e a cui l’autrice riesce a rendere giustizia con necessaria sensibilità ed empatia.

(di Giuseppe Rizza)