RIMBAUD E IL SOGNO DI PATTI

a cura di Silvia Longo

(…) Il giovane Arthur si nasconde
dietro la pompa del pozzo artesiano
vicino la fattoria. Getta vetro verde come cristallo spezzato.
mi colpisce l’occhio.

Io sono di sopra in camera da letto che mi fascio la ferita.
lui entra si appoggia alle colonne del letto. Le sue guance rosse.
l’aria insolente grandi mani. Lo trovo sexy come l’inferno.
“Com’è successo” domanda indifferente troppo indifferente,
abbandono le bende. Mostro il mio occhio un miscuglio insanguinato;
“Un sogno di Poe” lui sussurra.

(da “Il sogno di Rimbaud”, Patti Smith)
 

Il libro salta fuori qualche giorno prima del concerto. Lo tengo tra le mani a distanza di anni dall’ultima volta (cosa avevo, 17 anni?). La copertina arancione, Edizioni Vuoto a perdere.

Patti Smith
Poesie e canzoni

Sfoglio, e oltre ai testi ci sono foto in bianco e nero di lei, un mucchietto di ossa e capelli, e mi vengono i brividi. Nella prefazione in versi, scrive:

Questi deliri, queste osservazioni provengono da una che lo giuro è senza
madre, origine, né paese, che prova
a (far) sanguinare da una parola un sistema, una base spaziale, non un’isola rocciosa
ma un corpo di frasi con tutta la speranza di un piano superiore
o di una stella, un nocciolo: un centro che porterà, fiorirà e nutrirà
l’atmosfera con fasci di tessuto vascolare che illuminano
e rilevano.

E nella chiusa:

cervello bombardato dio la mia testa sì viaggiare è la chiave, non
la carità come rimbaud ha suggerito.

Patti ha trovato Rimbaud su una bancarella, lo ha letto e se n’è innamorata (lui l’ha ferita a sangue, le ha inflitto una ferita d’amore, come si legge nella poesia Il sogno di Rimbaud), è diventato il suo ispiratore. È una ragazza timida ma piena di passione che fa reading di poesia insieme a un amico che la accompagna suonando la chitarra. Nel 1975 pubblica il suo primo disco, Horses , scritto pensando a Rimbaud.
Le sue canzoni, così come le poesie, sono fortemente influenzate dagli avvenimenti degli anni ’70. Si percepiscono una grande inquietudine, un’urgenza di liberazione;

La gente cerca di sopprimerci
solo perché arriviamo dovunque.
(…) Perché non sparite tutti lontano?
Non provate a giudicare ciò che tutti noi diciamo.
Io non credo di provocare una grande impressione,
sto solo parlando della mia generazione”

(da La mia generazione, scritta con P. Townshend)

Sono versi visionari, spesso scritti sotto l’effetto di droghe, che fuggono alle regole metriche e suonano ribelli, coraggiosi, disperati. Anarchia come riaffermazione del sé, stratificazioni di arte varia:

Taccuino di appunti.
L’amore è a tal punto divino
invisibile.

taccuino di appunti
primo novembre. giorno di tutte le anime. rimbaud va’
all’inferno. picasso sa. come sa e seppe veramente fottere.
dove può andare adesso
tutti hanno parlato della sua morte.
(…)
Aprile è il mese più crudele ecc. che cosa resta?
Le ossa di brian jones l’amico di jim morrison. la bandana di jimi hendrix.
schiera sudata di angeli le judy garland.
il collo inamidato di baudelaire. il berretto scolpito
di voltaire. l’elmo dei crociati come
un tempio in sé stesso. La valigia di rimbaud. Il suo membro
artificiale si piega. spazio surreale. il cervello d’uccello di brancusi.
cocaina dolce superficie, lo specchietto di carole lombard.
il cappotto di rotko, il vestito nero lavorato a maglia della piaf.

(da “Picasso ridente”)

La poesia acquista senso quando è immersa nel concreto della vita. Soprattutto nelle epoche di passaggio, di trasformazione socio-culturale, la poesia sembra (de)scrivere – in forma esteticamente potente, e magari innovativa – quanto accade fuori e dentro. I poeti raccolgono le impressioni e tutta la violenza del cambiamento, raccontano l’impatto del mondo contemporaneo sulla loro stessa pelle, il botto che li squassa quando qualcosa suona forte nella testa, nel cuore.
Anche Rimbaud ha un animo inquieto, sensibile e ribelle. Anch’egli usa droghe e alcol per sciogliere gli ormeggi del suo Battello ebbro, e sente che la poesia significa cogliere e svelare la realtà. E per riuscirci, sceglie di farsi veggente: la lettera a Izambard, 1871, è una vera dichiarazione di intenti:

Voglio essere poeta, e lavoro per rendermi veggente: voi non ci capireste niente, ed io non saprei come spiegarvi. Si tratta di arrivare all’ignoto mediante la sregolatezza di tutti i sensi. Le sofferenze sono enormi, ma bisogna essere forti, essere nati poeti, e io mi sono riconosciuto poeta. Non è colpa mia. È falso dire: Io penso: si dovrebbe dire mi si pensa. – Perdonate il gioco di parole – IO è un altro.

Ho ascoltato dal vivo Patti Smith lo scorso luglio, nell’ambito degli eventi di Collisioni – Barolo. Apre il concerto con Dancing Barefoot – noi balliamo in fondo, accanto ai gabinetti chimici, sotto il palco non c’è spazio per muovere un piede – canta a voce piena e un poco storta. Dentro ci senti ancora la fanciulla spaventata e insieme la donna matura, ed è lei, la sciamana, la sacerdotessa del rock, la superstite.
Di quella generazione maledetta, gli artisti migliori sono morti precocemente e diventati leggenda. Anche Rimbaud è morto giovane. Molto rock and roll. Patti ha definito la sua morte come “la celebrazione della sua liberazione dalla sofferenza”. Lei si è concessa il lusso di sopravvivere, e adesso è una signora educata e senza fronzoli, elegante a modo suo, la giacca maschile, i capelli incolti e tinti male che addosso a lei sono un vezzo. La stessa fragilità esposta, la stessa grazia feroce.
Rimbaud è ancora il suo sogno. Di recente ha dichiarato che “il suo spirito è ovunque, è il cuore della gioventù ed è anche il cuore della curiosità e dell’entusiasmo. La sua poesia è con noi”.
Ha promesso che finanzierà i lavori di restauro del Museo di Charleville.