SE LA FRUSTA SOLLEVA IL BIANCO DEL TUO CORPO

a cura di Ianus Pravo

Ma che cazzo vuoi svelare, che merda vuoi rinvenire con la poesia? Io, con la poesia, innanzitutto non voglio, non voglio nemmeno non volere, e perdo. Uso delle idee, certo, ma nella loro modalità morente: la loro morte è la mia origine, la mia origine è posteriore a me stesso. L’effetto precede la causa.
E l’unica verità è il suicidio, oppure continuare a parlare: ma, parlando, e lo disse Wittgenstein, facciamo vibrare il margine di silenzio che, contornando l’espressione, ne indica la miseria radicale.

Se la frusta solleva il bianco del tuo corpo
a quell’urlo perfetto che ogni Dio tace o irride,
sopportando la linea delle labbra sul morso
del più morto degli dei, dell’amante più morto,
del serpente più azzurro il cui dono è la veglia
sul sonno ammaestrato ma segnato da un pundra
come dal bianco stigma di un bianco Cristo vivo
sulla lama splendente che dalla viva croce
dall’artiglio del pane in un bianco sanguinare,
avvicinati e afferra l’immagine, non sei.

(Ianus Pravo, “Nostra Signora d’Auschwitz“)