Senz’arma che dia carne all’imperium

Dimenticate che esistono l’alto e il basso, o perlomeno smettete per un attimo di attribuire all’uno l’idea di pesantezza e all’altro il concetto di leggerezza, di inferno e paradiso, di abisso e di elevazione.
Nell’accingervi a leggere “Senz’arma che dia carne all’imperium”, sovvertite il risultato ottenuto dall’applicazione delle leggi gravitazionali, perché questo libro, nello sprofondarvi in una visione drammatica della vita, saprà elevarvi come solo la poesia può, quando è davvero generazione, secondo quanto affermato nella nota introduttiva daLeopoldo María Panero, uno dei due autori:
“(…) la parola poesia invece ha soltanto un senso: generazione (poíêsis), cioè enunciazione della generazione. E l’atto di scrivere rassomiglia al digiuno e alla penitenza. La poesia deve essere un sacrificio e una lotta contro quella che Mallarmé chiamava l’âme lamartinienne, che è l’anima cursi, cioè manierata.”

Ciò che eleva, dunque, non è tanto il contenuto in sé, crudo e dichiaratamente pessimista, ma la nudità eletta dagli autori quale imprescindibile, il loro dire senza infingimenti retorici. Qui la sofferenza è palpabile, si respira, diviene aria densa e bestemmia, ed è ciò che nutre, in paradosso, l’anima di quella forza necessaria al proseguire.

La vita è una bestia immonda
che sussurra all’oscurità
e piove sul poema
come una lacrima sulla sete
che scrive all’inverso l’universo.

(Leopoldo María Panero)

Ancora, nel leggere, percepirete come la forma, pure in connubio perfetto con la sostanza, e dunque necessariamente impregnata di gravità, di sangue, di secrezioni e strazio, risulti altissima, in quanto colta (continui sono i rimandi a poeti illustri, quale Dante Alighieri, e i riferimenti storici, geografici e letterari, specie della classicità), e curata nel ritmo, nel suono, nella ricerca di immagini vivissime, nella ibridazione di idiomi, nell’invenzione stessa di un linguaggio evocativo, che comunichi oltre la comprensione letterale.

Nato. Nato due volte perché non nato.
Poscia che m’ebbe ragionato questo
la sua mano ritirò dal ventre vivo
mostrando a Cristo una
ancor umida bellezza
mostrando a Cesare
come un vino
il delitto del suo corpo.
In ein Auge der Zwei
Uno che avvinghia Due
come un nudo di nebbia sulla mano
come una mano di fango sul ricordo.

(Ianus Pravo)

Trenta poesie di Ianus Pravo, scrittore e traduttore, che dialogano con altrettante poesie di Leopoldo María Panero, spesso considerato il più grande poeta spagnolo contemporaneo, la cui vita è stata caratterizzata da scelte e accadimenti di forte drammaticità. La militanza nel Partito Comunista Spagnolo all’epoca di Franco e la conseguente reclusione in carcere, gli internamenti in manicomio, la depressione, la via della poesia per dire ciò che la vita è, oppure non è. La poesia con Ianus Pravo, in particolare, quale tentativo di superamento del dualismo che affligge l’Uomo: “nella poesia con e di Ianus Pravo io torno a cercare l’unità perduta dell’uomo”.

In questa silloge, i due autori si alternano, si allacciano tra loro in cordata, senza smettere il ritmo incalzante. Quel non lasciare tempo e modo a chi legge di chiamarsi fuori, di astenersi dall’abbraccio vischioso del senso di fondo, che lo si condivida o meno, costituisce il valore aggiunto di un libro che narra di umanità offesa, tradita, sincera nel proclamare l’inutilità della vita stessa, e di ogni tentativo a trovarne una qualche giustificazione, in un’ottica che va ben oltre la percezione eroica dell’esistenza stessa.
Concludendo, benchè due, come da introduzione, Pravo e Panero raggiungono il risultato di una ragguardevole unità stilistica e di omogeneità di intenti, in un continuo e reciproco atto di innesco e detonazione.