Approfondimenti
Trova’ pasturella VI
La luna non è come nulla. La luna è la luna, come si dice, dopo lunghe titubanze, nella Salomé di Wilde. Solitaria, sì, un bianco errore che il mestruo di Euridice vorrebbe emendare. Solitaria, senza essere sola. Io non posso immaginarla senza l’ululato di un cane. Il cane è la sua perla spenta. Le luci della città sono le perle spente della luna. Sono cani abbaianti. La luce non è mai nell’intenzione, come non lo è il gioco. I lampioni sono occhi incrostati sulla facciata della Cattedrale, sono buchi d’intenzione sul dominio della luna. I lampioni allargano pozze auree di sangue infetto ai piedi degli alberi, volendo la luna che invece non vuole mai. Le luci della città sono lo scherzo in cui si vogliono divertire gli uomini, la luna è il gioco in cui l’uomo è divertito, allontanato, dalla sua volontà.
Nel volto di ogni uomo o donna che incontro in luoghi isolati e bui frugo la possibilità di trovare il mio assassino. La carne che muore di morte naturale subisce un fatale deprezzamento. Un uomo sarebbe comunque un assassino che, attuando, asseconda l’ululato del cane, una donna sarebbe invece un assassino che, colpendo, avrebbe alle spalle il vento della luna.
Dipende da che donna, però. Che non abbia ombra, sotto la luna, di volere alcuno. Che semplicemente possa.
In piazza Garraffello ci sono dei ragazzi, quattordici, sedici anni? Che hanno raccolto delle siringhe da sotto un’auto parcheggiata al centro della piazza. Mettono un’arancia sul tetto di una Volkswagen nera. Lanciano le siringhe cercando di infilzare l’arancia. Sono molto divertiti dal fatto di tenere in mano le siringhe. Una prova di coraggio, ridono. Mentre il tiratore prende la mira, gli altri saltellano al suo fianco, come inscenassero una danza rituale. Il gruppo sembra una mano aperta, il lanciatore ne è il palmo, gli altri le dita che si muovono per segnalare qualcosa, forse solo il tremore di una mano nella notte. D’improvviso la mano si richiude. Si stringono l’uno all’altro, confabulando. Iniziano a muoversi piano, uniti in un pugno chiuso, verso una donna che entra nella piazza costeggiando l’edificio fatiscente che la chiude su un lato. Il pugno dei ragazzi sgranchisce lentamente le sue dita, la donna gli si approssima con maggiore risolutezza. Il pugno si apre, un ragazzo raggiunge la donna e la colpisce in pieno volto. La donna stramazza al suolo, mentre i ragazzi fuggono ridendo, uno dietro l’altro, come anelli serpeggianti di una catena trascinata da un fantasma.
***
Apro il mio pugno di mosche. Baciami il palmo della mano. Trattengo la carezza alla tua nudità, e la violenza mi accarezza. Ho capito almeno una cosa: che vivendo io, non può vivere la bellezza che ho vissuto.
Vuoi essere nel sentimento del tempo? Orina sui mendicanti. Io vomito sul tempo. Bere senza ubriacarsi è come scopare senza venire. Chi se ne soddisfa sicuramente riesce a vivere senza morire, in una interminabile putrefazione.
Ogni stronzo qualunque ha almeno un forte principio etico da esibirmi e una norma igienica da suggerirmi quando non piglia una minchia di ciò che dico. Non riesco nemmeno a ricordare senza uccidere il ricordo o da esso farmi uccidere, che è lo stesso. Non improvviso nulla. Da tempo sto pianificando la mia rovina. Sono così stanco che quasi quasi riesco ad amarmi. Dio esige la balbuzie, non ha l’assurda pretesa di comprendermi.
Non posseggo il patriottismo dell’amore. Mi ci rifugio come un profugo, senza documenti. Siete sobri, risolutivi, energici, pratici? Bravi. Io no. Provo piacere dal dolore, e viceversa. Ho idee confuse, cioè ho idee. E sensi disorientati, cioè sono sensibile.
Fortunatamente, c’è il sole. Se non ci fosse, ci sarei io. Che poi la notte mi ha ingoiato e io continuo a fumare facendo finta di niente. L’amore è la solitudine più estrema. L’amore è per i cani bastardi e rognosi. Io lo sono, cane, bastardo e rognoso. E puzzo di fumo.
Se non ci si fissa sui dettagli, aver a che fare con una puttana è aver a che fare con Dio. Perché Dio non è un dettaglio. È la mia solitudine bruciata come incenso in questa notte, di ritorno alla mia stanza senza casa, come un cane randagio a un angolo di strada.
Mi piacciono i bar squallidi, deserti, con le lucine lampeggianti delle macchine da gioco, con la mia birra. Ma la sola cosa che vorrei è chiudermi in una stanza con una prostituta e che mi trasformasse in Cristo, in chi, cioè, non ha padre né madre. Quia solus non sum, disse Cristo, ma era un vezzo d’autodenigrazione. Sapete cos’è l’ira di una rosa? Ogni mia notte lo è. Non ho nulla da dire sulla sopravvivenza quotidiana. Ho tutto da non dire sul morire del mai.
Domenica laforgueiana con lampi lautreamontiani: sulla bocca brulica la lama infetta del bacio. Io non sono pessimista, sono pessimo. Non chiamate depresso un morto, non siate ridicoli. Si sta così splendidamente male da ubriachi, come dopo un orgasmo ma senza averlo avuto. Gli uomini pratici mettono in frase i propri mugugni. Io metto in urlo i miei silenzi. Sono meravigliosamente stupido per grazia della Madonna. Andarsene a dormire è una metafora di andarsene a fanculo. Ci vado.
***
Svegliarmi da un sogno e vaneggiare nella realtà. Un altro giorno a sud di nessun nord. Di prima mattina una bocca che sbrana pani ca meusa. Le fette di milza e polmone straboccano dal pane, alcune cadono per terra. Il tipo le raccoglie e se le ficca in bocca. Lo chiamo Polifemo, non è un gigante, anzi, ma la faccia è quella. Occhi così certi di ciò che vedono che sembrano uno solo, ben centrato, un ano messo a nudo. Morire, dormire, sognare forse. Svegliarsi. O i tranquilli, amici gesti del mattino. Per Montaigne l’amicizia è una volontaria servitù. Sarebbe più importante dell’amore, perché meno intensa e quindi più duratura. Certo è così, per chi serve il tempo cronologico e ignora l’aion, l’istante senza successione. Quanta volontà di servire, quanta servitù al volere. Oh quotidiano amico dell’eterno. Ho sognato di osservare un uomo che frustava a morte un neonato. Sveglio, mi consolo guardando una bellissima ragazzina addentare con gusto un hamburger.
Euridice dorme il mio sonno. Vorrei che tu aprissi gli occhi sui miei, io li chiuderei, e sarei felice di morire. Sai cos’è l’inferno per me? Tutto. Solo tu non lo eri. Ti guardavo dormire, e tutto spariva. Ma scrivere qui ciò che sto provando è come cercare urgentemente una puttana in chiesa durante la celebrazione della Messa. Non mi piacciono le mani pulite, ma non mi è facile trovare qualcosa su cui sporcarmele davvero. E qui, a parte la verità, non c’è di nulla di falso per cui valga la pena interrarsi. Per cui m’infango fino alla bocca.
Quando ero bambino, sarò felice. Non è lo stesso avere i piedi per terra che averli sulla terra. I piedi per terra vogliono le scarpe, sulla terra no. Io ho i piedi sulla terra. La distrazione da ogni concetto è un processo. Nel suo farsi si chiama tristezza, e una volta compiuto si chiama stupore. Non ci si arriva allo stupore calzando le scarpe. A chi non sta a piedi nudi sulla terra, a chi non è un cretino posso solo dire: peggio per te. Cosa sto cercando di dire? Che accetto di vivere la peggiore costrizione della vita umana: la libertà. Ma fuori tutti dai coglioni. Io devo parlare al deserto, non al condominio.
***
Molti anni fa, feci un viaggio a piedi, da Barcellona a Lisbona. Volevo solo camminare. Stancarmi. Attraversare la terra e giungere al mare. Che mi si aprisse la luce del mare come un letto alla mia stanchezza. Volevo farne un libro, intitolarlo I piedi sulla terra. Rimane un’idea che deambula nel mio cervello come il relitto di una nave naufragata in un’oceano di sangue. Ricordo che, giunto in Estremadura, passai una notte in un uliveto. Fui svegliato da un cane randagio che annusava le mie gambe. Mi spaventai, mi alzai di scatto e andai a sbattere con violenza contro il tronco di un ulivo. Sentii tamburellare sulla terra le olive cadenti. Il sole iniziava ad alzarsi, e la luna non era ancora scomparsa. Mi vidi in mezzo alla luna e al sole. Cosa avrei potuto provare di pù profondo, di più solo e puro? Raccolsi il mio zaino, ne estrassi le mie poche cose, una per una, amandole come non mai: un quaderno con ideogrammi giapponesi bianchi su sfondo nero in copertina, un astuccio con le matite, un temperino, una bussola che non sapevo usare, un coltellino per tagliare il cibo. Le riposi nello zaino e mi rimisi in cammino. Un piede mi si era gonfiato, e non potei camminare nei giorni seguenti. Nell’hostal in cui mi fermai conobbi una ragazza tedesca che girava per la regione con un registratore, vi raccoglieva i suoni intorno, naturali e artificiali, per una ricerca scientifica. Dividemmo una camera dell’hostal. Ci metemmo nudi a letto, senza mai parlare. Ci accarezzammo a lungo senza fare nient’altro. Non so lei, ma a me non andava di fare ciò che era più ovvio. Mi stavo facendo mille chilometri a piedi. La mattina la seguii in bagno e la osservai orinare. Si chiamava Greta, non ci lasciammo alcuna informazione per reincontrarci. Solo mi scrisse il suo nome in un foglio strappato dal mio quaderno, e mi disse di gettarlo nel Tago quando arrivassi a Lisbona. E fu la prima cosa che feci, arrivato a Lisbona. La seconda fu cercare Rua da Rosa, nel Bairro Alto, dove c’era un albergue e una cameretta dalle finestre verdi. Anni prima, là, avevo voluto morire. Ma qualcuno mi aveva preceduto. Quella notte, in una stanza vicina, un ragazzo morì di overdose. Il propietario dell’albergue era molto scosso. Si responsabilizzava di quella morte. Disse di averlo sentito respirare affannosamente, ma di aver pensato che fosse ubriaco, che russasse, non aveva immaginato stesse morendo, ma se fosse andato a vedere… Quindi, non era davvero il caso di procurargli un altro rimorso, o un altro problema.
Dopo una notte fredda e una mattina grigia, ho sul viso un sole fragile come la cenere del sigaro tra le mie dita.
Si è trovata la modella. A tempo limitatissimo. Dentro e fuori, non lasciamo che la braciola si sgeli. Perfetto. Trova’ pasturella. Più che la stella bella, al mi’ parere. Procurarsi una stimmata che non si vede: questa è santità. E io oggi l’ho fatto. Io sono un bluff, c’è invece chi è solamente vero.
Amo in nero, pago in nero. Buonanotte.
Palermo, ottobre 2016
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