Ubi tu Gaius, ibi ego Gaia (Lisa Orlando)

[La dedizione – Cristina Campo, Elémire Zolla]

 liso 

“La conobbi a Roma, nel 1958; si stabilì uno strano rapporto tra me e lei. In realtà ci si sentì perfettamente uniti, ma si finse di non esserlo. Le nostre letture erano diverse, in certo modo contrastanti, si diede per scontato che ci dividessero spazi mentali vastissimi. Poi ci si guardò con serietà maggiore, si lasciarono cadere le suggestioni che ci separavano. “

“Ho avuto solo qualche colloquio umano con Elémire […]. Non posso dire molto di lui, ma […] mi sembra di poter rischiare – puntare molto su quest’uomo, intendo […]. Credo di averlo incontrato al momento giusto – sulla via di ritorno al mio centro, dopo due anni di viaggio (necessari).
Ma Z[olla] di viaggi non ha avuto bisogno: aveva l’attenzione. […] La sua intransigenza è un miracolo che mi basta; è il solo che non abbia ceduto, che l’ipnosi del costume non abbia mai attaccato. (E non ha fede, ch’io sappia, né altra dottrina che non sia il culto della verità.)”

(Pare che l’amore non raffreni mai la sua ansia smodata.) Zolla lasciò la moglie e andò a vivere da solo per poter vedere Cristina senza segretezza alcuna. Tuttavia, quando Elémire si riammalò di tisi, lei si prese cura di lui, lo portò a casa; «gli salvò la vita», scrisse Pietro Citati.
[Non sempre il sole offusca come un sacco di crine.]

Nondimeno, la loro vita in comune fu sempre segnata dall’estrema fragilità della salute di entrambi; Cristina Campo aveva una malformazione al cuore che le condizionò l’intera esistenza. Le sue lettere indugiano sulle sventure fisiche di entrambi; sulle guerre affrontate dai loro corpi; sui giorni (sui mesi) di reclusione (bui e dolorosi), passati sotto il pungolo della sofferenza, nel regno della malattia; ma pur rivelano la dedizione che l’uno aveva nei confronti dell’altro, e il sostegno, l’abnegazione, l’attenzione costanti.

Per Zolla incontrare Cristina fu conoscere profondamente la cura ricevuta in amore (la migliore virtù terapeutica). Accanto a Zolla, lei – così poco avvezza alle mediazioni – imparò che si poteva accettare, l’uno dell’altro, la parte sconosciuta, fanciullesca, ferita. La parte tenebrosa che chiede solo d’esser liberata!

Dalle lettere della scrittrice affiorano manifestamente non solo devozione e affetto, ma pur pura lode nei confronti dell’amato.
“Di E[lémire] posso [dire] che oltre ad un’abbagliante intelligenza – di gran lunga la più notevole che abbia incontrato nella nostra generazione – possiede qualche cosa di ancor più raro nella stessa: un alto e indefettibile stile morale.”

Elogio e stima assolutamente ricambiati da Zolla. Qualcuno ricorda che un giorno mentre Elémire cercavo di dire (ad un amico) la definizione dello stile di Cristina, si fermò e disse: “La definizione è: perfetto. Cristina è lo stilista più importante di questo mezzo secolo italiano”.

[Una cornice favolistica o da tardo romanticismo pare contornare questo amore; presumibilmente la relazione non fu così indefettibile: la realtà ineluttabilmente travaglia gli amori. Tuttavia, l’intenzione era di porre l’accento sulla dedizione quale modalità etica del relazionarsi. Un ritorno sic et simpliciter al donarsi; ché dedizione è dono, per l’appunto. Sacrificio del sé, gratuità del gesto affettivo; oblazione allo stato puro?, sì, se l’offerta d’amore e l’ardore dedizionale sono senza ombra di scambio interessato, senza attesa di contropartita.

(Elémire Zolla e Cristina Campo.) Poter lasciar riaffiorare, attraverso loro, l’essenza felice e drammatica del dono d’amore; ma pur riabilitare il concetto di offerta del sé, quale forma alternativa da contrapporre al difetto egoistico che l’umana esperienza delle relazioni portano alla luce, in questo tempo radicalmente impuro, d’individualismo estremo.]

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(otto)
{Lo so, è intollerabile sentir cessare la f e l i ci t à (che sentivo prima d’esser nata?) perciò lasciatemi scorgere paesaggi ad ogni istante, che mi riportino lì.}
 

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