Venedikt Erofeev, un russo III

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Il dialogo si interrompe qui. Molti dialoghi sono interrotti o assurdi, nel poema di Erofeev. Sono smozziconi di filosofia, di mistica, di retorica di partito, di mode culturali dell’epoca… Nel suo delirio Erofeev butta giù tutto, come un Charms meno metafisico, meno algido nella sua matematica dell’assurdo. Golda Meir, Togliatti, Longo, Sartre, sono nomi che si ritrovano nei dialoghi più scalcagnati del poema. Erofeev è più carne e ossa di Charms, più empirico. La sua distruzione del senso si abbatte sulla realtà concreta.

Si dice di lui: il Bukowski russo. Ma Bukowski non fa dell’epica. Erofeev è russo, e la Russia partorisce individualità potenti, sì, ma le immerge in un bagno epico, di corale malinconia, di pioggia nera. Tutti hanno un destino in Russia, a differenza che da noi. Anche il malessere e la miseria vengono esaltati dal senso del destino. Questo in Bukowski non c’è.

Quanto erano ottusi i funzionari sovietici lo si vede dal fatto che volevano edificare l’arte rivoluzionaria e imponevano come modello l’Ottocento, il secolo più borghese, e come limite stilistico gli artisti tardoromantici, i più borghesi di tutti. Dopo Mosca- Petuški, Erofeev ha scritto un romanzo su Dmitrij Shostakovich. Ecco, quella di Shostakovich sembra una storia scritta da Erofeev. Che faccia avrà fatto Shostakovich nel sapere che Zdanov gli imponeva un indirizzo stilistico alla Rachmaninov? Il più russo, il più anarchico dei musicisti russi che si vedeva additare a esempio il collega più occidentalizzato, il più conservatore, quello che nel ’17, per non perdere i suoi soldi, se n’era scappato in America! Naturalmente Erofeev, che nei paradossi s’infila per dono divino, scrive del suo caso. Peccato che abbia perso il manoscritto.

Erofeev è un innocente. Il suo ubriacone che vive a Mosca senza aver mai visto il Cremlino è una versione novecentesca dell’Idiota di Dostoevskij. Una versione grottesca. Tra il principe Myškin e lui c’è la rivoluzione, che ha rivoluzionato vita e animo dei russi -non certo in meglio. Nel 1956, il filosofo rumeno Constantin Noica scriveva a Cioran: “I russi non parlano più in tono di confessione“. Erofeev parla più che mai in tono di confessione. Fa la sua rivoluzione da solo, come i suoi personaggi cercano di fare la loro rivoluzione alcolica in un paesino -e, naturalmente, non ci riescono. D’altronde, Erofeev nei suoi taccuini ha scritto della rivoluzione:

Sul fatto che l’alcol è necessario; cioè, noi saremmo stati liberati da molte cose se, per esempio, nell’aprile del 17 Il’ič fosse stato talmente inciclonato che non era capace neanche di salire sull’autoblindo.

Giorgio Galli