VITA E LETTERATURA (Stefano Boccato)

Starei per entrare in libreria, la mano destra protesa alla maniglia, mi sento chiamare.
Ehi!
Mi volto a sinistra: è una donna. Seduta all’unico tavolino occupato, da sola, del bar dall’alto lato della piazzetta.
Ehi. Vieni qui. Tu, vieni, sì. Ti ricordi di me?
No. Ma sulla sedia libera mi siedo di fronte a lei, che con l’avambraccio destro stancamente benedice. Per via della sigaretta accesa tra indice e medio.
Sono la Laura. La figlia di Toni. Ora ti ricordi?
Vagamente. Forse mi ricorda una compagna di scuola per pochi mesi. Vent’anni fa. Ma non glielo dico.
Vedi? Beviti un caffè, dai.

Natura morta: pacchetto di sigarette. Accendino. Posacenere con mozziconi. Disegnandola mentalmente mi accorgo che non ci sono consumazioni sul tavolino. Il bar è ancora chiuso.

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Tu lavori?
Ogni tanto.
Bene. Hai la macchina?
No.
Abiti qui?
Sì.
Vivi solo?
Sì.
Sono sola anch’io. Mia mamma è morta. Ho due fratelli che lavorano in Svizzera. Ti giuro.
Chi dice niente.
Allora offrimi un caffè a casa tua.
Uhm.
Non ti fidi? Guarda che voglio solo tanta compagnia. Solo tanta, tanta compagnia.
Con la mente ho scavallato le gambe e sto già alzandomi. Io vado avanti.
Va bene. Vai pure. Concedendomelo quasi senza stizza.
Finalmente mi alzo anche col corpo.

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Me ne vado senza voltarmi. Con la fretta di chi sembra avere davvero fretta. Per seminarla, nel caso mi seguisse con lo sguardo. Un lungo giro. Volendo finire dritto in un – altro – bar: ma niente caffè espresso. Una birra rossa, grazie. In un bar per potermi appoggiare sulla mensola opposta al bancone. A verbalizzare sul retro di uno scontrino quanto mi ricordo ancora dell’incontro appena avvenuto. Che solo così potete leggere. Mentre me la bevo.

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In un sorso. In due passi torno alla piazzetta, arrivando di spalle alla donna. Nascosto da un pilastro vedo lei. Che sta chiacchierando con un uomo seduto ad un altro tavolino. Fornito di bicchiere di spritz cupamente luminoso dei penultimi raggi. Il bar è aperto evidentemente. Finché lui stupito divertito compiaciuto attira la sua attenzione, posso sgattaiolare in libreria. Finalmente. Ma casualmente guardo, volto, sfoglio e sbircio solo i libri posati nel punto che mi permette di controllare la piazzetta attraverso la porta a vetri. Si alzano insieme. E… lei ce l’ha fatta: insieme si allontanano. Lui, quel mezzo passo avanti di chi, anche nella concitazione della ciacola muta (per me), con la testa voltata verso di lei, sa dove andare. E li seguo. Con lo sguardo di vetrina in vetrina. Finché ci sono vetrine. Con la fantasia che rima con gelosia, poi. Mentre rimango assorto, il libro aperto in mano.

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Stefano Boccato. A Nord-Est il 9 marzo 1980, prematuro di un mese per nascere in inverno. La sua vita dall’andamento carsico, è soggetta ad infatuazioni per argomenti e generi letterari. Ha scritto racconti e teatro, con troppe indicazioni di regia, invidiando la precisione della poesia. Ci sono poeti laureati e storici non laureati: il suo caso. Occupandosi del rapporto tra spazio, luoghi e potere in età moderna e nel Risorgimento ha ottenuto le sue uniche pubblicazioni cartacee. Ha divulgato il resto in conferenze moderatamente istrioniche, finendo per sguazzare nella storia culturale veneta del “secolo scorso”, Arturo Martini e Giovanni Comisso in primis. Di Goffredo Parise ha letto, ascoltato da chi lo conosceva.

S’impunta come un mulo.

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