PER IL TRAMITE DELLA LETTERATURA 10

COME LA PANDEMIA DA COVID-19 È DIVENTATA L’INSONNIA DEL XXI SECOLO

di Lorenzo Gafforini*

a R.

«Felici i posteri, che non avranno conosciuto queste disgrazie e crederanno che la nostra storia sia una favola!»

FRANCESCO PETRARCA, Familiarum rerum libri

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10. Il futuro delle pandemie.

 

A seguito di questa breve panoramica, siamo arrivati ai giorni nostri e alla pandemia da Covid-19. Fin dalla prima ondata sono state date alle stampe diversi saggi, romanzi, raccolte di racconti, testimonianze che analizzavano le varie sfaccettature della crisi globale. Alcune di esse, però, mosse anche da impulsi editoriali al fine di fornire ai cittadini prodotti immediatamente fruibili, hanno consegnato dei prodotti non sempre ottimi. D’altro canto, però, ci sono stati dei lavori davvero pregevoli che forniscono attente analisi[1].

Appare, comunque, troppo prematuro cominciare a elencare e trattare opere letterarie che abbiano affrontato la pandemia. Piuttosto, una visione più originale è vedere come nei decenni passati furono pensate le pandemie future. La letteratura in materia è ricca e curiosa, soprattutto con la premessa che non sempre si sfocia nella fantascienza più distopica e futuristica. La letteratura funge così da valvola di sfogo per una delle paure ancestrali, cercando di esorcizzarla tramite una disamina che tenga conto delle variabili dettate dal comportamento umano.

Gli esempi sarebbero innumerevoli, in quanto la fantasia umana è inevitabilmente spinta ad analizzare situazioni estreme: e se il pianeta venisse colpito da una pandemia incontrollabile, capace di decimare se non addirittura estinguere la razza umana? Gli scenari apocalittici abbondano, eppure la selezioni qui proposta analizza alcuni panorami originali, capaci tuttavia di preservare il dramma personale e non scadere nella spettacolarizzazione più bieca[2].

Per esempio, ne L’ultimo uomo di Mary Shelley – l’autrice di Frankenstein –, l’autrice sostiene di aver ritrovato dei testi profetici ad opera di una Sibilla che le hanno ispirato la stesura di un romanzo che narra la fine dell’umanità nel XXI secolo. Le descrizioni della malattia abbondano; in particolare, si tratta di un morbo che colpisce l’intero pianeta. Una delle digressioni a riguardo riporta: «ad Atene la peste era stata preceduta e provocata dal contagio proveniente dall’Est, dove la scena di distruzione e morte continuava a essere recitata su una scala di proporzioni terrificanti. [G]li abitanti erano indotti alla disperazione, o a una rassegnazione che, nascendo dal fanatismo, assumeva la stessa fosca tinta. Anche l’America era stata toccata dall’infezione; e, fosse essa febbre gialla o peste, l’epidemia era dotata di una virulenza mai sperimentata prima»[3].

Nel 1912, invece, Jack London scrive La peste scarlatta: romanzo breve visionario che racconta la pandemia di una singolare peste che porta all’estinzione – o quasi – della razza umana. Jack London analizza la corruzione del XX secolo che raggiunge il suo apice nella nostra epoca, in un mondo dominato dai magnati dell’industria, dediti al guadagno e al “progresso”. La storia, poi, si dipana, nel XXI secolo inoltrato, in cui un vecchio, ascoltato dalle nuove generazioni – regredite allo stato primitivo –, racconta gli errori del mondo passato.

In particolare, il vecchio narratore dell’opera di London descrive lo stato d’animo dei cittadini al momento del dilagare della peste: «eravamo sicuri che i batteriologi avrebbero trovato qualcosa per vincere questi nuovi batteri, come già ne avevano vinti tanti altri prima. Ma intanto continuavano a distrugger e i corpi umani con sorprendente rapidità, e dovunque penetravano sopraggiungeva inevitabile la morte. Nessuno ne scampava»[4].

Tuttavia, il romanzo che ha fatto maggiormente scuola in questo senso è La peste di Albert Camus, premio Nobel per la letteratura nel 1957. La vicenda è ambientata a Orano, in Algeria, ancora sotto il dominio francese – come ne Lo straniero –, in cui scoppia un’epidemia di peste. Il protagonista, il medico Bernard Rieux, si troverà nell’occhio del ciclone: infatti, la città viene arginata dietro ordine delle istituzioni parigine. Gli abitanti reagiscono nei modi più disparati, come avviene proprio nei lavori di Boccaccio, Defoe e Manzoni[5]. Rieux, dal canto suo, si oppone con incertezza e meraviglia: «la sua reazione, infatti, con qualche sfumatura, fu quella della maggior parte dei nostri concittadini. I flagelli, invero, sono una cosa comune, ma si crede difficilmente ai flagelli quando ti piombano sulla testa. Nel mondo ci sono state, in egual numero, pestilenze e guerre; e tuttavia pestilenze e guerre colgono gli uomini sempre impreparati»[6].

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Note

[1] Con riferimento all’esperienza bresciana, ad esempio, si segnala M. Tedeschi, Il grande flagello. Covid-19 a Bergamo e Brescia, Morcelliana, Brescia, 2020; F. Puccio, Il coraggio e la passione. Brescia e il Covid-19, Marco Serra Tarantola, Brescia, 2020.

[2] Dopo attenta analisi si è deciso di illustrare alcuni esempi seguendo l’ordine cronologico delle pubblicazioni.

[3] M. Shelley, L’ultimo uomo, Giunti, Firenze, 1997, p. 221, trad. di Maria Felicita Melchiorri.

[4] J. London, La peste scarlatta, La scuola, Brescia, 2009, p. 43, trad. di Gabriella D’Anna.

[5] Per riprendere le parole di Giuseppe Cintoli: «il fatto peste, con la sua natura collettiva a oltranza, non permette che vi si ragioni troppo individualmente; non permette né di non averne: come tutte le catastrofi di natura è assurda per definizione, priva di cause e di fini, e come tale inconcepibile, temo, se non nei termini di un puro giornale di bordo o di un brogliaccio» (G. Cintoli, Albert Camus in Opere, Utet, Torino, 1960, p. 31).

[6] A. Camus, Opere, Utet, Torino, 1960, p. 143, trad. di Beniamino Dal Fabbro.