Approfondimenti
Guillen Hughes, lettere 1
a cura di Elisa Audino
L’Avana, 10 maggio 1929
A Gumersindo Nápoles
La poesia, Felix -oh, scusami- la poesia, Gumersindo, come tutto il resto, è cambiata, sta cambiando. Quello che chiamano “avanguardismo”, per così dire, non è una scuola, ma molte scuole. Meglio ancora: è il desiderio di trovare un nuovo modo di esprimersi che, spogliando la poesia della propria falsa veste, lacrimosa come un mendicante con il tracoma, possa far emergere nel poeta l’anelito a una forma più sincera. Oh, se solo la poesia potesse essere espressa facendo a meno dei versi!
Nicolas Guillen
Westfield, New Jersey, 30 settembre 1930
A Claude McKay
E c’è un altro ragazzo che si chiama Nicolas Guillen che di recente sta facendo un po’ di clamore con le sue poesie in dialetto negro cubano e i ritmi della musica nativa, qualcosa di simile a quel che faccio qui con i miei blues – è la prima volta che si fa in America Latina. Ho tradotto qualche poesia rivoluzionaria e alcune di Guillen dallo spagnolo, ma i sonetti e il dialetto sono di difficile resa in inglese.
Langston Hughes
Langston Hughes conobbe Nicolas Guillen a Cuba nel 1930, lo stesso anno in cui vennero pubblicati i Motivos de Son e di cui Hughes in quell’occasione lesse probabilmente una prima bozza. Guillen gli spedì la raccolta nel 1939, insieme a Songoro Cosongo.
Box 99, Westfield, New Jersey
17 luglio 1939
Mio caro Guillén,
amico! I tuoi Motivos de Son sono stupendi! Sono allo stesso tempo molto cubani e molto buoni. Sono contento che tu li abbia scritti e che abbiano avuto così tanto successo. Volevo mandarti un telegramma quando ho ricevuto El Diario de la Marina (Marina Daily) insieme ai Motivos – ma non avevo soldi. Ero completamente al verde. Grazie per il libretto, e anche per La Semanaria e l’intervista all’interno. Ero a Washington e un giovane cubano che era lì mi ha aiutato a tradurre i versi. “Tú no sabe inglé” mi ha fatto ridere moltissimo, con i suoi “guans” e anche “Negro Bembόn”. Non so quale mi sia piaciuta di più. Mi piacciono tutte. “Aye me dijeron negro” è meravigliosa! Anche “…si tu supiera”, ma non ho capito il “songoro, cosongo, songo be” (neanche il tizio cubano a Washington). Spiegamelo.
Langston Hughes
Spiegarlo: Songoro, cosongo, songo be era di fatto intraducibile: Guillén usava, infatti, la dizione onomatopeica, così come le ripetizioni, talora a effetto ossessivo talora melanconico, con crescenti graduali e brusche deviazioni di tono, per scandire il ritmo e cercare immediatezza e rappresentare la voce del popolo. La rivoluzione era ancora lontana, il padre di Guillén era stato ucciso dai militari nel 1912 durante una rivolta e Guillén doveva sapere quali erano i confini della libertà. Erano gli anni dei divieti, quelli in cui il Carnevale e le tradizioni di più evidente richiamo africano furono vietate a più riprese e accostate a pratiche selvagge. L’effetto fu opposto, tanto che Guillén attinse per le proprie poesie proprio alle forme della canzone popolare al suono dei tamburi. Erano anche gli anni della négritude – il termine venne coniato da Aimé Cesaire nel 1935 -, ma l’aria di cambiamento era ovunque, in Africa come nelle Americhe. […]
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