DELLA POESIA COME EROINA

a cura di Ianus Pravo  


 

Il tabacco, come l’alcool, è una pausa. È il sorriso amichevole della Madonna. È soltanto una pausa.
   Innanzitutto, se si scrive veramente una poesia, poi non si può andare a lavorare come se niente fosse. Non si può andare a lavorare. È come prendere eroina. Subito dopo aver preso eroina, che fai? Vai a lavorare? O ti vai a comprare un I-phone? O ti vai a comprare del salame? Non puoi, perché, dopo aver scritto una poesia, ti sta fottendo la Madonna. Dopo aver preso l’eroina tu stai fottendo la Madonna.
   Poi, chi prende eroina sa che sempra ha davanti a sè un muro, un muro che protegge, e un muro che crolla. Se scrivi una poesia, devi rivolgerti a un muro, cercare la protezione del suo silenzio, cercare in esso la tua sepoltura.
   L’eroina e la poesia sono le mie sole azioni a cui la Madonna rivolge la sua pietà artica.
   Io mi impicco a queste quattro parole, a queste due righe di polvere marrone, come a una trave sul soffitto di quella vecchia stanza che non abito più, in Calle del Pestrin, a Castello, Venezia.
   La poesia, come l’eroina, è incivile, iniziano entrambe dove finisce il filosofo e dove inizia il cretino.
    La poesia, come l’eroina, inizia e finisce nel cesso. Nelle mie mani accolgo gli escrementi / formando con essi poemi / baciami l’ano di cui versi ho fatto.
L’idea è il sarcofago dove si abbuffano i poeti-mummie, gli uomini sani.
Poesia, eroina. Non voglio essere altro che stupido. Non mi accontento di meno.
La poesia, come l’eroina, è stupida come l’oscillazione di un impiccato sulla forca.
Siamo nel terreno dell’inciviltà: dirgli a un poeta che è civile è dirgli stronzo, ma stronzo-stronzo, non escremento nel senso degli alchimisti, di in stercore invenitur.
Se mai un tempo può avere in sé qualcosa di degno, è l’inciviltà. La civiltà è il progresso della colonia. Penale.
Se scrivo poesie, e prendo eroina, io me vado a fanculo. Voi fate quello che vi pare. Quest’ultima cosa è superfluo dirla, e infatti la dico.