Storia della voce I

a cura di Giorgio Galli 

Una delle storie più affascinanti dentro quel treno in corsa che è la Storia riguarda la voce umana registrata. Possediamo le registrazioni delle voci di persone nate dal 1809 in poi -qualcuno qui in sala si meraviglierà, ma rovistando in rete non è difficile trovare le voci di Bismarck, Caikovskij, Tennyson, dell’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe e di William Ewart Gladstone, oppure quelle degli ultimi schiavi liberati negli Stati Uniti. Non sappiamo -va da sé- con quali accenti, prosodie e velocità si parlasse nel Cinque, Sei o Settecento, e men che mai al tempo di Cristo o di San Francesco. Ma, se un’idea possiamo farci ascoltando queste voci dell’oltretomba, è che ci sia stato un salto drammatico intorno agli anni Cinquanta del Novecento, poco dopo la seconda guerra mondiale. Vale a dire che c’è meno differenza fra due registrazioni datate, poniamo, 1890 e 1950, che tra altre due datate 1950 e 1970. E’ una trasformazione che in realtà si inizia a percepire nei film hollywoodiani già negli anni Trenta, e che può essere sintetizzata come il passaggio da un tono eroico a un tono erotico, o da un tono energico ad uno più rilassato. E’ un cambiamento che possiamo osservare anche in musica: nel 1940 molti jazzisti trovavano troppo tranquillo il sax di Lester Young, oggi troviamo eloquente la tromba sussurrata di Chet Baker. Nel 1940 un direttore d’orchestra “classico e composto” era quel pugile del suono che rispondeva al nome di Arturo Toscanini: le nuances di Karajan non erano nemmeno pensabili.

Si conservano le voci registrate di quasi tutti i presidenti degli Stati Uniti da Benjamin Harrison in poi. Ascoltando i presidenti ottocenteschi, si possono apprezzare vigorosi effetti agogici: sia Harrison che William McKinley, entrambi morti nel 1901, rallentano e riaccelerano in maniera ostentata. Il pensiero va alle registrazioni musicali coeve, in cui pianisti e cantanti usavano tempi molto più liberi di quelli odierni, e un rubato più estremo e arbitrario. Il primo presidente americano a incidere un discorso senza rubati e senza toni enfatici, usando il classico accento mid-atlantic in voga fino agli anni Cinquanta del Novecento, è William Howard Taft, che nel 1912 dichiara vicina l’abolizione della guerra. I fatti lo avrebbero smentito due anni dopo. Ma forse non è un caso che il primo a parlare in modo “più moderno” sia stato un Presidente che voleva abolire la guerra. In effetti, uno dei cambiamenti più evidenti, tra l’epoca di Taft e la nostra, è che allora la vita militare era parte normale della vita di tutti, e la vita militare impone toni enfatici.

E’ curioso, ma effetti agogici simili a quelli di Harrison e McKinley li troviamo in Italia nella voce di Pietro Mascagni, in un disco del 1940. Nel cinquantenario della Cavalleria rusticana, il compositore fu chiamato a inciderla per l’etichetta His Master’s Voice -l’odierna EMI- e fece precedere la registrazione da questo discorso:

«Ascoltatrici ed ascoltatori gentili: sono Pietro Mascagni e vi rivolgo la parola per dirvi che la mia Cavalleria rusticana compie i cinquanta anni, ed è legata, nella mia memoria a tante dimostrazioni di simpatia che non ho potuto resistere all’invito della nobile Voce del Padrone e mi sono deciso a presentarla in dischi, per intero e per la prima volta, sotto la mia personale direzione. La mia creatura, che prende vita dagli artisti più celebrati e da masse orchestrali e corali che non hanno rivali nel mondo, rimarrà per tanto – quale immagine mia– meglio e più di qualsiasi ritratto con firma autografa. Ed io, che di autografi ne ho fatti tanti, non ne ho mai rilasciato alcuno con maggior piacere, perché è il più vivo che si possa dare ed è quello che meglio mi rappresenta, nella doppia veste di autore e di direttore della musica mia. Vi saluto cordialmente prima di alzare la bacchetta. »

[continua…]