Interviste
Quasi quasi faccio anch’io un corso di scrittura, parte 3
La stessa cosa accade per Guillermo Cabrera Infante, altro mio amore tradotto per Sur (La ninfa incostante), un autore che in Italia pare non avere molti estimatori. Sono i misteri editoriali del nostro paese, dove sembra che di latinoamericani si debbano leggere solo Isabel Allende e Garcia Marquez, tanto tanto Sepulveda e Borges. Perché non allargare il campo?
Beh, questo vale per moltissime altre letterature, non solo per gli scrittori latinoamericani.
GL: Su Cuba abbiamo l’aggravante che in Italia tutto quello che non è allineato al castrismo è stato osteggiato dalla cultura dominante.
Guillermo Cabrera Infante, che citi, si dice sia stato un funambolo linguistico, uno sperimentatore e non mi stupisce, perché è stato anche un poeta visivo. È nato a ridosso del cubismo e dell’esperienza della poesia cubista di Apollinaire, ma poi c’è stato anche il futurismo, l’avanguardia, i Beat (the Bomb!).
GL: Guillermo Cabrera Infante è un Premio Cervantes, pubblicato in tutto il mondo, ma in Italia non ha mai avuto vita facile. Lui amava il gioco di parole, la commedia della vita, il racconto scherzoso anche delle cose più drammatiche. Bellissimo, ma inedito, Exorcismos de estilo, dal quale ho tradotto qualcosa, ma molto è di complessa resa in italiano, proprio per la frequenza del giocare con le parole. A Cuba c’è stato anche il fenomeno del teatro dell’assurdo con Virgilio Pinera, sulle orme di Beckett e Ionesco, un altro autore notissimo in Sudamerica ma che da noi è un Carneade qualsiasi.
Com’è iniziato tutto? Voglio dire, dietro ogni traduzione c’è sempre una storia, soprattutto quando riguarda gli autori di un paese specifico.
GL: Venticinque anni fa mi sono innamorato di Dargys, una ragazza cubana da allora mia moglie, e da quel giorno la cultura di quella terra è diventata parte di me. Ho cominciato a scrivere di Cuba e su Cuba, mi sono occupato di santeria (Cuba magica edito da Mursia, ancora in catalogo, dopo vent’anni), di musica (Un’isola a passo di son, edito da Bastogi e adesso lo rieditiamo noi, dopo anni in catalogo), di politica (purtroppo, è un errore che ho fatto e che non rifarò), di poesia e di narrativa cubana.
E da Cuba però poi ti sei un po’ allontanato.
GL: Sì. Cuba rappresenta una doppia ferita della mia vita, dal punto di vista dell’impegno politico. Mi sono avvicinato ai Caraibi da convinto filocastrista, ne sono uscito da critico globale di una realtà non condivisibile, sono arrivato alla conclusione che – guarda l’Italia – ogni popolo ha il governo che merita. Forse i cubani meritano questa specie di dittatura mascherata da comunismo perché niente fanno per cambiare le cose e se qualcuno fa qualcosa è solo per interesse economico.
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